Quella scelta preferenziale che sempre alla carità della Chiesa s’impone, la ricorda ai nostri vescovi marchigiani ‘ad limina’ nell’aprile del 1977. “Sappiate valervi del contributo dei laici, sappiate farveli discepoli e amici, preferite tra loro i poveri, gli ammalati, gli emarginati”. Gaetano Michetti, vescovo di Pesaro di allora, ha fatto questa scelta. Ciò mi induce a proporre ai lettori l’immagine di don Andrea Gallo, un sacerdote scomodo, che ha fatto la scelta degli ultimi, sine glossa. La difficoltà di raccontarlo la dice lunga sul modo con cui l’interpreta. Per questo mi avvalgo di quanti l’hanno conosciuto e autorevolmente detto. Nella circostanza del funerale nella chiesa di Nostra Signora del Carmine, il cardinal Bagnasco, suo vescovo, nell’omelia: “cominciò quasi alla spicciolata aprendo la porta a chi bussava e cercava calore. Con il passar del tempo, da iniziale ricovero, diventò un abbraccio fecondo di chi si sentiva o appariva ai margini, forse senza nome. Don Andrea sapeva che quella era una sua risposta e non pretendeva che fosse di tutti, perché la fantasia del bene è grande ed è percorsa con generoso sacrificio da molti”. L’omelia venne interrotta dal canto di ‘Bella ciao’ e provocò l’intervento della segretaria della comunità di S. Benedetto, Lilli, “ragazzi, voi così non rispettate la memoria e l’insegnamento di Andrea. Lui credeva nella Chiesa, ne aveva un rispetto profondo. E aveva un profondo rispetto per il suo vescovo. Impariamo ad ascoltare tutte le voci come lui ha ascoltato noi”.
Al di fuori della chiesa, nella piazza, sono seguite altre testimonianze.
Per don Ciotti “don Gallo era innamorato di Dio e dei poveri…”.
Quasi per mettere le mani avanti contro possibili strumentalizzazioni, continua “parlando del Conclave paradossalmente diceva che non bisognerebbe dire extra omnes ma dentro tutti: gay, lesbiche, divorziati”. Moni Ovadia, ‘ebreo e agnostico’ ha affermato “attenti a non dualizzare don Gallo perché è sempre stato prima di tutto un prete. Don Andrea – ha sottolineato – parlava sempre della ‘mia Chiesa’. Lui era prima di tutto un sacerdote e uomo di Chiesa e in quanto tale, poteva anche prendersi la libertà di contestarne alcuni aspetti, ma sempre dall’interno”.
Era capace di porre segni eclatanti, magari fingersi eretico, (Samaritano), pur di accoglierli, se non venivano al San Benedetto, egli ‘prete di strada’ andava a cercarli.
Un’immagine come questa in un contesto sociale e culturale come il nostro, non poteva non essere usato politicamente, specie da una sinistra–dabbene e da cristiani–bene.
In una Chiesa come la sua con un Concilio alle spalle e un Pontefice attuale che sceglie di chiamarsi Francesco e le periferie come luogo privilegiato dell’evangelizzazione che scende dall’auto per abbracciare uno degli ultimi, don Gallo, il prete di strada, non poteva non trovarsi a suo agio.
Raffaele Mazzoli