Finalmente l’Italia ha un governo. Un esecutivo dotato sulla carta di una larga maggioranza che dovrebbe garantirgli l’abbrivio necessario. Un governo che nelle ore del giuramento ha dovuto subito fare i conti con la cronaca più inaspettata: una sparatoria dinanzi a Palazzo Chigi con il ferimento di due carabinieri e di una donna incinta, ad opera di un uomo forse in preda alla follia.
Al governo di Enrico Letta si chiede di costruire una base di consenso popolare tale da rasserenare gli animi, di predisporre alla collaborazione, di aguzzare le intelligenze, di invogliare a costruire ponti, di ricercare le difficili ragioni dell’unità a scapito delle facili divisioni, di individuare un percorso riformista, di seminare speranza. E per non esagerare, capace almeno di governare senza strappi per domare la crisi economica. Interpretando i sentimenti positivi degli italiani che hanno vissuto con sconcerto, e talvolta con disperazione, l’evolversi di una recessione epocale.
Queste sono ore di vigile attesa e di realistica speranza. E non veniteci a dire che chi vive di speranza muore disperato. I cinici, sempre al lavoro in questo Paese che non si vuole mai abbastanza bene e che non ama il lieto fine, ci lascino in pace per un po’. E soprattutto guardino le cose con un occhio meno furbo e disincantato. Lo sappiamo che non aspettano altro che poterci dire: “Vi avevamo avvertiti, non c’è mai fine al peggio”. Il peggio l’abbiamo già visto, vogliamo sperare nel meglio, perché forse dipende anche da noi e dalla nostra capacità di contribuire con le nostre forze, le nostre volontà e intelligenze, alla ricostruzione morale e materiale del Paese.
Un governo c’è. Frutto di una crisi politica lunghissima e senza precedenti. Che ha trovato uno sbocco solo attraverso grandi sacrifici personali. Primo fra tutti, quello di un presidente della Repubblica ultraottantenne che ha accettato, a malincuore, il secondo mandato. Per non parlare di quanti hanno visto bruciare il proprio nome e le proprie legittime aspirazioni, prima nella ricerca di un governo e poi nella corsa al Quirinale. La politica chiede e pretende grandi sacrifici umani. Ma chi per ragioni diverse viene sacrificato, merita rispetto e non la pubblica gogna, come spesso avviene in questo Paese.
Domenico Delle Foglie
(Continua sul Nuovo Amico – in edicola dal 3 maggio)
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