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      Home » Il priore di Fonte Avellana sulla Pasqua
      Editoriale

      Il priore di Fonte Avellana sulla Pasqua

      RedazioneDi RedazioneNessun commento6 minuti di lettura
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      Al seguire i passi della Liturgia in questi giorni pasquali, si scopre come essa veda di lontano e anticipi la vita; attraverso gli eventi che in memoriam celebriamo, si apre sempre un orizzonte di senso e di profezia. Quest’ultima prende la forma della testimonianza di altro che è dato da vivere, fuori dagli schemi precostituiti: si scorge in filigrana, la figura dell’uomo nuovo, risorto con Cristo.

      I GESTI DELL’UMILTA’
      In quella sera, durante l’ultima cena, Gesù si china ai piedi dei discepoli, in un gesto che, oltre ad esprimere un’esistenza come ministero, è un’umiltà proclamata con tutta la persona prima che con le parole. E forse proprio questo intendeva san Benedetto quando identificava il vertice dell’umiltà non tanto in singoli gesti di umiliazione, ma in un modo d’essere immediatamente percepibile. Ed è proprio su questo chinarsi come cifra di un modo nuovo di essere uomini che si consumano le incomprensioni fra Gesù e i discepoli, in quella “contesa messianica” (come è stata chiamata) che è una lotta interiore nell’animo di tutti loro: il conflitto fra l’amore al maestro e le stesse esigenze di Lui, così lontane dalla disponibilità dei discepoli di accettarle e viverle. Si ergono in piedi, con i loro pensieri e i loro gesti (“abbiamo qui due spade!”), mentre Lui si china. Non era stata la prima volta che lo aveva fatto: anche di fronte alla richiesta di lapidazione contro l’adultera, Gesù si era chinato, silente. Fare memoria nella Liturgia, contribuisce ad un tempo a misurare tutta la distanza fra due orizzonti così differenti di intravedere la vita e ad aprire la possibilità di riorientarsi verso la Luce fatta vedere dal mistero. E viverla. Si tratta davvero di imparare a camminare, con i piedi diventati capaci per opera del maestro. Se Gesù lava i piedi a tutta l’umanità, la rende capace di camminare verso una possibilità nuova. Attraversare camminando con “simpatia” – gioendo e patendo insieme – questo mondo significa viverci dentro senza giudizio, ma anche senza indifferenza. Non si cammina in qualsiasi modo. Il passo del cristiano è pieno di comprensione, ma anche di critica, a volte molto severa, come ad esempio nei confronti di un sistema economico che azzoppa, tagliando i piedi e non consentendo ad alcuni di “camminare” con dignità. I troppi “zoppi” del mondo contemporaneo non possono coesistere con un mondo dove abitino i discepoli del vangelo. Denuncia e proposta fanno camminare innanzi senza paura.

      LA COSTRUZIONE DELLA CASA COMUNE
      E dopo questo pellegrinaggio si giunge in un luogo, che non è quasi mai geografico, ma umano. Si giunge al punto in cui qualcosa viene piantato solidamente e diventa un punto fermo. Il Regno che Gesù chiede di far crescere con Lui è l’esito di un percorso, un pellegrinaggio: essenzialmente del cuore. Sì, il cuore è pellegrino quando riesce a s-muoversi dalla durezza alla disponibilità, dalla chiusura solipsistica alla presa d’atto di una responsabilità per altri. Ed è necessario saper edificare una casa nuova dove gli uomini possano vivere nella pace, perché questo è il sogno perenne di Dio, dall’arcobaleno dopo il diluvio in poi. Ma Dio sa che c’è un passaggio (pasqua) necessario: è costruito un sogno oneroso. E allora l’edificio che Dio costruisce, in quel giorno di oscurità luminosa del venerdì, è quello della croce. Quel Dio che si era chinato, ora si alza (viene alzato); e il vero innalzamento, quello che Cristo fa non esprimendo un potere, ma esercitando un servizio radicale, è l’unico che non consegna l’uomo al suo delirio di onnipotenza. Anche questo l’aveva già detto quando ricordava che l’innalzamento e l’umiliazione erano strettamente legati; l’uomo che avesse scelto l’uno avrebbe ottenuto l’altra e viceversa. In questo modo, e non in altro, come stiamo vedendo nel triste spettacolo della politica, i cristiani possono contribuire per edificare uno spazio antropologico di sopravvivenza. Dobbiamo dire, oltre le diverse appartenenze politiche, ma uniti nell’unico orizzonte di senso, che l’uomo ha bisogno di edificare una casa comune accomunata da una co-ministerialità reciproca. A costo di apparire come dislocati dal mondo post-moderno. Lo spettacolo indecoroso di una certa politica, non è dato principalmente dai biasimevoli comportamenti di etica pubblica o privata; discende anzitutto da una incapacità profetica. Di essa si fanno carico i discepoli di Cristo che noi siamo; viviamo “beati” – secondo le prime predicazioni di Gesù nel vangelo di Matteo – quando il contrasto fra il possibile (poco) e il desiderio (molto) risulta essere apparente. E, con sorpresa del mondo, costruiamo il Regno. Che tutto inizi da qui la Liturgia ce lo fa vedere plasticamente. Non avrebbe senso altrimenti stare, nella Liturgia del Venerdì “ad os crucis”, nell’adorazione della Croce.

      ALLORA E’ VERAMENTE RISORTO
      Non ci resta che riconoscere che l’ascolto radicale della Parola, l’insegnamento del Maestro, e la sua traduzione in gesti di vita solidale, pacifica – ovvero la sua traduzione Eucaristica – si aprono a noi come un sepolcro vuoto, ovvero in una disperazione, una morte ed uno sconforto che non ci sono più: non sono nel qui della nostra esperienza di vita perché ci viene annunziato (… “non è qui, è Risorto” – disse l’Angelo in quella mattina). Ci vuole un accettarsi dentro un ombra che pian piano lascia il posto alla luce (Liturgia della Luce); scoprire che non siamo soli, ma partecipiamo incessantemente di una Storia (Liturgia della Parola); e, così trasformati cambiamo radicalmente, immergendoci in una vita nuova (Liturgia battesimale); siamo pronti per fare memoria di Lui, facendo ciò che Lui ha compiuto (Liturgia Eucaristica). Non lo troviamo più nel sepolcro – in questa santissima notte del Sabato – e non ci ritroviamo più nemmeno noi. Davvero è questa Assenza che noi possiamo confessare; e diciamo al mondo quello che non si aspettava più, perché sembrava impossibile, ora lo è ridiventato. Noi saliamo sui tetti e diciamo che è possibile: un’umanità nuova, non calata dall’alto come un miracolo, ma sgorgata dal basso come una sorgente inesauribile di Speranza. In essa cambia il vocabolario del mondo. In questo ci possiamo dire gli uni gli altri che “veramente il Signore è Risorto”.

      Gianni Giacomelli OSBcam 

      Priore del Monastero della Santa croce di Fonte Avellana

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