L’attività del Centro Studi Filosofici dell’Unilit alla sua VIII edizione chiude il ciclo di incontri incentrati sul tema della complessità nel nostro tempo con la conversazione di Cecilia Casadei che già nel titolo: “La nave dei folli- L’arte tra disagio e follia” pone di fronte al dilemma di quale sia il contributo dell’arte nel naufragio dei valori. La nave dei folli è quella della famosa tavola del pittore fiammingo Hieronymus Bosch conservata al Louvre, un dipinto inquietante ricco di elementi simbolici dove i volti appaiono abbrutiti da un’esistenza senza controllo. Viene naturale pensare all’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. La storia della follia e della sua cura è lunga e complessa, a partire dalle primitive società umane fino a Ippocrate e Galeno. Nel Medioevo viene considerata come una possessione degli spiriti maligni ed è solo nel XVII secolo che viene riconosciuta come malattia psichica e dopo Charcot, Freud e Lombroso. Negli anni ’50 del Novecento i primi psicofarmaci creano un nuovo approccio mentre si afferma l’antipsichiatria finchè con la legge Basaglia del 1978 gli ospedali psichiatrici vengono aboliti e sostituiti dai centri di igiene mentale.
L’approccio alla follia ha una forte connotazione nell’arte, a partire dalla letteratura. Shakespeare la rappresenta in molti drammi e nelle sue tante sfaccettature, da Amleto a Re Lear, da Macbeth a Riccardo III e a Otello. Si può vedere avverarsi ciò che scrive Schopenhauer: “Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri.” Esempio massimo è la poesia di Alda Merini che seppe sublimare la sua vita segnata dalla terribile esperienza del manicomio in liriche che ne fanno “luogo della Poesia”. In pittura il rapporto tra creatività e follia o comportamenti devianti è testimoniato dall’opera di Caravaggio e più ancora di Van Gogh, la cui malattia psichica secondo il filosofo e psichiatra Karl Jaspers ha contribuito alla sua straordinaria creazione artistica. Visti dal di fuori in luoghi più vicini a noi la follia e i malati sono oggetto dell’arte fotografica di Giovanni Marinelli e Lorenzo Amaduzzi presenti in una mostra a Urbino, i cui scatti sono uno sguardo negli interni dell’ospedale psichiatrico pesarese San Benedetto, muri corrosi, oggetti abbandonati, il parlante degrado di un luogo ormai vuoto. La sua storia è raccontata nel riuscito romanzo “Il mio manicomio” di Paolo Teobaldi a partire dalla sua apertura nel 1829 fino alla chiusura grazie alla legge Basaglia. Il linguaggio dell’arte ci consegna l’emozione di un rapporto tra passato e presente: “Forse follia, conclude la relatrice, è seguire i propri sogni e talvolta semplicemente vivere.”