Il contributo del collega dott. Giammaria Fiorentini (vedi articolo in pagina), primario oncologo della Azienda Marche Nord, pone l’accento sulla constatazione che – dopo la introduzione della legge sul cosiddetto biotestamento – “si sposta sul malato, su chi soffre, l’onere della responsabilità di scegliere”. È proprio vero: la stesura delle DAT non richiede l’assistenza di un medico, e questo genererà inevitabilmente ulteriore solitudine per il malato che, se vorrà, sceglierà di rinunciare a terapie senza avere piena consapevolezza di ciò cui sta per rinunciare.
Paziente. Sul medesimo argomento avevamo già scritto da queste colonne all’indomani dell’approvazione della legge. Oggi, a distanza di tre mesi, ci pare di poter confermare una critica sostanziale a tale norma. Da un lato infatti le parole con cui la legge si “presenta” tentano di rinvigorire l’idea di voler puntare sulla alleanza terapeutica. In realtà, come è stato scritto autorevolmente, “L’idea di disposizioni vincolanti … per il medico… è una stravaganza che risponde alla logica – antitetica a quella rappresentata dall’«alleanza terapeutica» – di un medico chiamato a essere solo esecutore di volontà, comunque esse si siano determinate” (Eusebi, 21.12.2017, La Voce del Popolo, Brescia). Dice bene il dott. Fiorentini: “… palese è l’errore (della legge) perché medici ed ospedali esistono per curare i pazienti e non per abbandonare chi soffre ed ha bisogno di loro”. Si è scelto di decidere a priori che – sempre – idratazione e nutrizione artificialmente somministrati siano considerati “trattamento sanitario”, senza comprendere (o forse sì!) la portata di una tale affermazione. Si è scelto inoltre di assolutizzare l’autonomia del paziente relegando l’autonomia, professionale ed umana, del medico in un’area di subalternità, quasi che egli debba diventare l’esecutore delle volontà altrui.
Coscienza. La legge, poi, ha volutamente escluso il tema della obiezione di coscienza. Si è scritto che “invocare l’obiezione significherebbe riconoscere che l’interpretazione di alcuni passaggi della legge non possa che essere quella aperta a esiti eutanasici. Sin dove possibile, appare dunque opportuno adoperarsi affinché l’interpretazione non debordi in quel senso” (ancora Eusebi): purtroppo le primissime applicazioni della legge in realtà vanno proprio in tale direzione. Per il momento, ed in attesa di auspicati correttivi e precisazioni, occorre che venga rispettato il diritto di ciascun medico, di poter non eseguire «prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici». Siamo convinti – come Fiorentini – che è necessario “offrire la migliore cura possibile a chi soffre di gravi malattie. Anche il malato terminale. Non deve esistere l’abbandono. La strada è davanti a noi: offriamo le cure palliative adeguate ai nostri pazienti, somministrandogliele con amore e compassione”. Non cadiamo nella trappola di considerare la legge una “buona” norma di compromesso, che mette d’accordo tutti e consente a chi lo vuole di fare scelte secondo la propria volontà: una legge crea mentalità, e in questo caso la mentalità è sfavorevole alla vita.
* Presidente Scienza&Vita di Pesaro, Fano e Urbino