Con la solennità che merita un evento atteso da circa 11 anni, è stato inaugurato a Pesaro lo scorso 8 ottobre il nuovo Servizio di Fisiopatologia della Riproduzione della Azienda Ospedaliera Marche Nord: più semplicemente – e chiaramente – il servizio che si occuperà di fecondazione artificiale. Un investimento di oltre 2.600.000 euro tra dotazione strumentale, personale ed infrastrutture (solo come investimento iniziale!). All’inaugurazione ha presenziato – come è logico – il presidente della Giunta Regionale Ceriscioli, che ha espresso la sua soddisfazione per un evento che pone il polo di Pesaro quale struttura all’avanguardia nel settore. Erano presenti ovviamente i vertici aziendali di Marche Nord, a cominciare dal Direttore Generale, dott.ssa Capalbo, ed il Direttore della nuova struttura, prof. Marabini.
Coinvolte anche scuole (Liceo Artistico Mengaroni), università (Università “Carlo Bo” di Urbino), istituzioni culturali (Rossini Opera Festival). Dunque tutto bene? Sembrerebbe di sì: nessuna voce fuori dal coro, nessuna critica, nessuna incrinatura. Sembra quasi che ormai ci siamo assuefatti all’idea che sia possibile fabbricare bambini con l’aiuto delle tecnologie, che non ci sia nulla di male o di sbagliato, ed anzi che questo modo/modello procreativo sia semplicemente una “terapia” come un’altra. Ed allora vogliamo provare a fare la “voce fuori dal coro” e suggerire qualche spunto di riflessione a chi, sotto la spinta delle “magnifiche sorti e progressive”, non ha colto gli aspetti problematici o negativi di questo percorso.
Anzitutto va ricordato che la fecondazione artificiale ha dei costi: economici, certamente (l’ipotesi è quella di “aiutare” circa 350 coppie all’anno), ma soprattutto umani. Le donne che intraprendono il percorso di procreazione medicalmente assistita devono sottoporsi a controlli e trattamenti farmacologici intensivi, con innegabili ed inevitabili ripercussioni sul loro sistema ormonale. Non solo: molto spesso tali trattamenti devono essere ripetuti più volte, per poter avere il risultato sperato. Ed inoltre: quale è il successo di tali trattamenti? Quanti “bambini in braccio” ci saranno al termine dei trattamenti?
Il nuovo Centro non ha, ovviamente, casistica. Ma i dati contenuti nell’ultima relazione ministeriale al Parlamento (del 26.06.2015 sui dati 2013, consultabile in www.salute.gov.it/imgs/C_pubblicazioni_2379_allegato.pdf) non lasciano dubbi in proposito: su 91.556 cicli iniziati, si sono realizzati 132.159 embrioni, dei quali 22.143 sono stati congelati; si sono ottenute 15.550 gravidanze cliniche, e sono nati 12.187 bambini. E dunque: quanto funziona la PMA? I numeri, che un tempo credevamo non soggetti ad interpretazione, oggi si prestano a letture le più disparate: il dato fornito dal Ministero calcola l’efficacia in termini di gravidanze ottenute rispetto al numero di coppie trattate: 71.741 coppie trattate // 15.550 gravidanze cliniche // 21,67%. Ma se consideriamo il totale degli embrioni formati rispetto ai bambini nati abbiamo un dato del tutto diverso, più che dimezzato: 132.159 embrioni formati // 12.187 bambini nati vivi // 9,22%
Dunque, più del 90% degli embrioni realizzati in laboratorio non verranno mai alla luce!!! Dunque, un’insieme di tecniche che determina una incredibile perdita di embrioni umani, ovvero piccole vite umane senza alcuna tutela e protezione. Ma se non riusciamo a proteggere la vita più fragile, che ne sarà della nostra? Perché in questi casi siamo disposti ad accettare un’efficacia così bassa che in altri contesti, sempre sanitari, farebbe immediatamente chiudere un servizio così inefficiente?
Ancora due considerazioni.
La prima: il presidente Ceriscioli ha creduto opportuno intervenire sul recente Fertility Day, esprimendo la sua contrarietà all’iniziativa, arrivando a definire la campagna informativa “sessista, classista e razzista”: giudizio pesante, fuorviante ed anche sbagliato, rispetto ai contenuti veicolati. Contenuti che si ritrovano nelle 137 pagine (le ha lette il nostro Governatore?) del Piano Nazionale della Fertilità, che naturalmente non è qui possibile analizzare nel dettaglio: ma non si può tacere il fatto che una migliore attenzione alla salvaguardia della fertilità di ciascuno, donne e uomini, attraverso un’efficace opera di prevenzione volta a modificare stili di vita dannosi per il patrimonio ovarico e spermatico, nonché adeguate politiche sociali che incentivino la ricerca di maternità e paternità in un’età coerente con la naturale evoluzione biologica della fertilità maschile e femminile (il cui livello massimo si attesta attorno ai 26-27 anni!) sarebbero interventi davvero auspicabili per una Giunta Regionale che volesse davvero essere al servizio delle donne, delle coppie, dei loro figli e del futuro della nostra società. La seconda, rivolta in particolare alla comunità ecclesiale: siamo purtroppo ormai assuefatti all’idea che la procreazione è sostanzialmente un fatto tecnico/tecnologico e non già un Dono. Non c’è ormai più posto per il Mistero né per la accettazione di un Disegno che, talvolta, va oltre i nostri desideri e ci chiede di aprire il cuore ad altre forme generose di maternità e di paternità. Anche la comunità cristiana dovrà interrogarsi sulle sue responsabilità in questa deriva culturale ed etica, se non è più in grado di suscitare stupore e accoglienza della vita anche con modalità diverse dalla fecondità biologica.
Emanuela Lulli – Ginecologo e MMG Consigliere Nazionale Scienza&Vita