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      Home » “Sogno una Chiesa povera”
      Editoriale

      “Sogno una Chiesa povera”

      RedazioneDi RedazioneNessun commento3 minuti di lettura
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      don-bella

      Il prof. Magatti dell’Università Cattolica di Milano introduce il convegno pastorale su “Educare alla missione” con tre parole buttate su una società secolarizzata, nella quale nominare il nome di Dio è solo un intercalare. Desiderio, verità e affezione aprono all’uomo un mondo di ideali, di verità tutta intera e soprattutto di speranza nei beni futuri senza i quali l’uomo rimane fuori e non perfora neppure con la fantasia ciò che veramente gli è necessario. Prigioniero di un’immanenza assolutamente relativa, gli resta soltanto uno straccio di libertà di cui non sa che farsene. Siamo nel tempo ecclesiale dei convegni e dei programmi pastorali. Hanno il loro valore e sono fatti bene, certamente arricchiscono i cristiani che sono “dentro” ma c’è un punto interrogativo per quanto riguarda la loro attualità, se cioè rispondono davvero al bisogno di una società in piena crisi di religione.

      Cinquant’anni di convegni ecclesiali della Cei , il primo nel 1976 sulla Promozione umana, la Chiesa popolo di Dio e l’opzione dei poveri ( rimasta famosa la frase “ogni battezzato si porta addosso il peso di tutta la Chiesa”), l’ultimo nel 2015 sull’Umanesimo, un arco di tempo abbastanza lungo. Dai titoli sembra dover capire che la Chiesa, popolo di Dio, infine sia approdata alla considerazione di aver perduto di vista l’uomo. In tutto questo c’è una parte di verità che va considerata e meditata conseguentemente a una situazione che coinvolge sia l’uomo che la Chiesa in una società moderna agnostica. Sono in gioco le fonti della conoscenza, quella attraverso la ragione e soprattutto la conoscenza attraverso la fede. È il caso di ricordare come il ‘si’ del credente sia costitutivo nel momento in cui l’io diventa un noi-comunità, vale a dire Chiesa. Ed è un ‘si’ a una Parola che viene da Gesù. Egli è la Parola e dall’ascolto nasce la fede. Donde il richiamo intenso ed esplicito del Papa, quasi una preghiera, al ritorno alla pastorale del Primo annuncio , il Kerygma, “fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica la presenza del Padre.”

      Urge tornare al Primo annuncio se non vogliamo correre il rischio di trovare le Chiese completamente vuote, per quelli che sono “dentro” perché non vengano travolti dalla corrente, per i lontani, quelli che sono ai margini, i dubbiosi, una Pastorale non come supplemento di qualcosa ma come elemento sostanziale. Di quella Parola Cristo stesso è testimone e di quella Parola diventa testimone la Chiesa nel momento in cui esercita la sua missionarietà. Dovrà essere una Chiesa in uscita, farsi periferia e non disperdersi. Soprattutto per essere testimone credibile si dovrà sognare, almeno sognare, non semplicemente una Chiesa che si rivolge ai poveri ma una Chiesa povera la cui spogliazione vera deve ancora cominciare.

       

      Raffaele Mazzoli

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