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      Home » Benedizione a scuola
      Editoriale

      Benedizione a scuola

      RedazioneDi RedazioneNessun commento4 minuti di lettura
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      DIREZIONE DIDATTICA DI MONTELABBATE

      Benedizione a scuola

       

      Recentemente la Direzione Scolastica di Montelabbate ha deciso, applicando il regolamento, che quest’anno la tradizionale benedizione pasquale non potrà avvenire durante l’orario scolastico per non discriminare gli studenti non cattolici.

      Visto che l’accoglienza del prete da parte dei docenti e degli alunni è sempre stata cordiale e serena, visto che il semplice gesto di preghiera è proposto e non imposto, visto che non divide ma piuttosto avvicina i ragazzi di fedi diverse in quanto esalta il comune senso religioso ci chiediamo se questa norma tuteli veramente tutti e non discrimini nessuno?

      Si dice che la scuola di stato è laica, però c`è molta confusione attorno a questa parola. Una scuola dovrebbe dirsi laica perché non abbraccia, propone o difende una fede particolare. Laica dovrebbe significare neutrale in materia religiosa; rispettosa, accogliente e senza preferenze verso tutte le religioni che si esprimono all’interno della comunità scolastica.

      Oggi invece il significato di scuola laica è stato distorto. Si dice che una scuola è laica perché al suo interno non c`è spazio per la religione. L’esperienza religiosa non ha diritto di cittadinanza nello spazio pubblico. Questa riduzione ideologica della laicità si chiama laicismo. È una visione del mondo e dell’uomo che esclude Dio. Il laicismo negando ogni religione si trasforma nella nuova religione imposta agli studenti.

      È importante quindi domandarci: Che scuola vogliamo?

      È evidente il pregiudizio da cui parte la norma: mostrare la mia fede offende o discrimina l’altro. Ma chi l’ha detto? Rispettare la fede dell’altro non significa nascondere la mia. Perché una preghiera dovrebbe offendere o discriminare l’altro?

      Ciò che offende l’altro non è la mia preghiera ma che io derida il suo credo e i suoi simboli; ciò che l’offende è non riconoscere nella sua fede un valore per la comunità; ciò che lo umilia è chiedergli di non mostrare la sua fede pubblicamente quasi fosse una vergogna o un pericolo. Vedere un compagno cattolico che prega invece mostra anche a chi non è cattolico che la fede è un valore di cui non bisogna vergognasi o di cui aver paura.

      La scuola dovrebbe favorire l’integrazione e educare i ragazzi a stare di fronte a chi ha un credo diverso dal proprio. Invece, negando l’espressione pubblica della fede perché si ritiene che possa offendere chi la pensa diversamente, fa sentire la fede dell’altro come un pericolo. Non è forse questo metodo che invece di eliminare la paura del diverso la fomenta?

      Pretendere poi che la fede vada vissuta in privato e non in pubblico è un equilibrismo pericoloso perché nella vita pubblico e privato si intrecciano. È inevitabile che a scuola le opinioni nascano dalla fede che vivo. Prima o poi la mia fede appare. Allora dovremmo censurare anche le opinioni che mostrano un’esperienza religiosa perché altrimenti chi ha un’altra fede si potrebbe sentire offeso? Ma di questo passo si arriva a negare la libertà di opinione!

      Per dialogare con le altre culture non devo fare tabula rasa di quello che sono. Non devo perdere il mio volto ma offrirlo all’altro mentre accolgo il suo.

      Eliminare ogni colore dalla scuola affinché nessuno si senta discriminato mi sembra un’azione violenta perché impone a tutti un’omologazione decisa dall’alto. La scuola così perde la sua neutralità perché fa del laicismo la nuova religione imposta a tutti. Questo regolamento piuttosto che tutelare la libertà e il pluralismo nella scuola è l’imposizione di un pensiero unico. Questa è la strada che porta alla violenza. Piuttosto che una scuola dove viene imposto un solo colore io preferisco una scuola che accoglie e rispetta i colori di tutti.

      Don Michele Lugli (parroco di Montelabbate)

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