Qualcuno potrebbe avanzare qualche riserva sul perché il nostro settimanale insista con zelo sugli argomenti che riguardano la vita e perché proprio ora. In primo luogo perché quel “fine-vita” rappresenta il crocevia di incontro e riscontro dei grandi valori, ora perché ci sono stati offerti, proprio in questi giorni, sui banchi di un certo mercato.
Purtroppo non è una novità. Il mercato infatti è un vocabolo che accomuna tutto, perfino la felicità, che è il bene più grande delle attese di ciascuno. Nella Costituzione si legge che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Non c’è niente prima del lavoro.
Ora, nelle stesse istituzioni (vedi Parlamento) si dice “mercato del lavoro” ed è normale che questa categoria possa e venga, in realtà, applicata anche allo sport, alla cultura, all’arte, alla politica (vedi mercato del consenso). Perfino l’uomo viene considerato una merce. Pensate semplicemente al “Homo oeconomicus” di marxiana memoria. Non è uno scherzo di parole e non è una parabola. È un tratto caratteristico della nostra civiltà, comunque la si definisca e donde la si faccia derivare. I valori sono i primi ad essere svalutati. La vita in prima battuta.
Possiamo affermare che il grande problema odierno è la svalutazione. Quella che riguarda la vita, che il progresso della scienza e della tecnica ci impone di affrontare, ha una storia su cui è utile riflettere per capire meglio ciò che sta accadendo. Il passato, più o meno recente, ci pone di fronte ad un ‘effetto’ che alcuni chiamano “slittamento morale” accettare cioè in modo acritico le innovazioni tecnologiche. Ci si adatta, nonostante qualche riserva iniziale che finisce per scomparire, influenzati anche dal confronto con altri popoli ritenuti più avanzati. C’è poi la tendenza di fare della scienza una ideologia, forse l’unica sopravissuta, e come tale concorre a formulare valori etici di comportamento che entrano inevitabilmente nel vissuto della gente. È il caso di ricordare che nel frattempo la contraccezione, ad esempio, è diventata talmente normale che non ci si domanda neppure se sia opportuna o meno, per non parlare della procreazione assistita con tutte le questioni mediche, sociali ed etiche che ne derivano.
Solo uno sguardo di lungo periodo può permettere di capire quale deriva si mette in moto da una accettazione acritica delle innovazioni tecnologiche e dalla presunzione che tutto ciò che è fattibile sia anche eticamente accettabile. C’è a monte una concezione materialista dell’uomo, per cui la persona è identificabile con il cervello. Che il corpo sia davvero ‘epifania della persona’ è lontana mille miglia dal pensiero corrente.
In tutto questo ci si mettono anche i nuovi strumenti della comunicazione, per cui la Rete da serva diventa padrona. Sicché invece di liberarlo verso la conoscenza tutta intera lo rende prigioniero, anziché socializzarlo lo isola,anziché farlo volare oltre i confini lo affoga nel pelago dell’immanenza.
Raffaele Mazzoli