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      Home » Pesaro ha salutato i missionari Comboniani di Villa Baratoff: «Grazie dell’amore e della carità»
      Pesaro

      Pesaro ha salutato i missionari Comboniani di Villa Baratoff: «Grazie dell’amore e della carità»

      PAOLA CAMPANINIDi PAOLA CAMPANININessun commento3 minuti di lettura
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      Tante persone hanno voluto partecipare, sabato 9 luglio, alla celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Sandro Salvucci, con la quale l’arcidiocesi di Pesaro ha salutato ufficialmente i Missionari Comboniani che si apprestano a lasciare Villa Baratoff: amici, ex alunni, benefattori, giovani del cammino GIM (giovani di impegno missionario) provenienti dalle più disparate parti d’Italia (Lombardia, Emilia, Veneto, Abruzzo, Puglia, Marche). Tutti per testimoniare quanto i Comboniani, annunciando il Vangelo e testimoniando la carità, abbiano educato – attraverso veglie, esercizi spirituali, incontri pubblici – ad aprire gli occhi, e soprattutto il cuore, al mondo.

       

      Servizio. Certamente un velo di tristezza e di commozione era visibile nei presenti: del resto, bastava contemplare il rosso fuoco del tramonto, al di là del bosco che circonda la Villa, e poi il cielo stellato che l’aria fresca rendeva ancora più limpido, per rendersi conto di quale “paradiso” i padri stessero lasciando. Ancor più doloroso poi era ricordare gli anni in cui quel luogo era affollato da decine e decine di ragazzini della scuola media, molti dei quali avrebbero fatto il loro ingresso in seminario, diventando missionari. Ma il Superiore, padre Giorgio Padoan, ha fugato ogni sentimentalismo e ogni tentazione nostalgica e ha richiamato tutti a valutare la cosa con gli occhi del realismo e della fede: innanzitutto, i Missionari non vanno via, si trasferiscono soltanto a 12 chilometri di distanza e continueranno a svolgere il loro servizio, rimanendo proprietari di tutto il complesso rilevato nel 1940; inoltre la sede pesarese è sicuramente più bella, comoda e funzionale dell’appartamento di cui disporranno a Fano, ma “comodità e funzionalità” non sono mai stati gli obiettivi prioritari di chi ha scelto, per vocazione, la missione. Infine, non è vero che i Comboniani nel mondo sono diminuiti: sono ancora 1.550, con le 44 nuove professioni di quest’anno, di cui 38 dall’Africa e 5 dall’America Latina. La crisi di vocazioni è in effetti evidente in Italia (una sola professione), ma questo va letto in positivo, come un richiamo del Signore a cambiare, a convertirsi, a rinnovare metodi e linguaggi.

       

      Alleggerirsi. Nel nostro vecchio continente – ha detto l’arcivescovo Salvucci – la carenza di risorse umane e finanziarie, che rende difficoltosa la gestione di strutture divenute troppo grandi e onerose, è un problema che investe tutta la Chiesa, anche italiana. Evidentemente il Signore ci chiede di “alleggerirci” della preoccupazione dei mattoni e di interessarci maggiormente delle persone. Ci invita ad essere come Lui, il buon Samaritano, che tante volte ha provato compassione per noi, “quasi morti” come quell’uomo percosso dai briganti della parabola evangelica, e ci ha affidato alla Chiesa (l’albergo), promettendo di ritornare alla fine dei tempi e di “rimborsare le spese”. I Missionari sono un segno luminoso di questa vicinanza di Gesù a tutti, soprattutto a chi è più ferito. Giustamente una signora, durante la preghiera dei fedeli ha detto: “Quando guardo la croce, vedo un Comboniano: proteso verso Dio e aperto ad abbracciare il mondo”.

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