«A un certo punto speravo che non lo trovassero più e che finisse come Marcellino pane e vino, il film in cui Gesù fa morire il bambino senza sofferenze. Eppure nonostante tutto Mattia è ancora con me e con Silvia: è dentro di noi e faremo di tutto per tenerlo vivo nel ricordo della gente». A parlare è Tiziano Luconi, papà del bimbo autistico di appena otto anni inghiottito dall’alluvione che il 15 settembre ha messo in ginocchio le Marche. Il suo corpicino è stato ritrovato dopo oltre una settimana di ricerche, scavando anche a mani nude in quel fango che, ad oggi, ha restituito i corpi di dodici persone mentre un’altra risulta ancora dispersa. Non è la prima volta che le Marche si trovano a dover fronteggiare una calamità naturale. Negli ultimi anni il sud della regione è stato martoriato da ripetute scosse di terremoto mentre stavolta la devastazione si è abbattuta tra le provincie di Pesaro e Ancona. Eventi drammatici che puntualmente finiscono sui media di mezzo mondo ma anche sui piccoli giornali di comunità, come i settimanali cattolici. Ogni volta, di fronte al dolore e alla morte, avvertiamo il peso di una domanda: a cosa serve la nostra stampa diocesana? La risposta è in quel Vangelo che oggi parla con la voce della “nostra” gente capace di guardare la realtà con cuore sincero. Come i familiari delle persone decedute, oppure i tanti volontari delle Caritas o delle parrocchie che, all’indomani dell’alluvione, si sono messi a spalare il fango, ad organizzare l’ospitalità degli sfollati o semplicemente ad abbracciare chi aveva perso ogni cosa. Tutti insieme sulla stessa barca che affonda, mentre il Signore sembra dormire, come nel noto episodio della tempesta sedata. Ed ecco che le nostre fragili pagine di carta possono servire per ricordare che il Signore non dorme ma si manifesta in alcune persone capaci di testimoniare che “forte come la morte è l’amore”, proprio come dice il Cantico dei Cantici, che aggiunge: “le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo”. Per questo oggi Mattia rappresenta tutte le vittime dell’alluvione marchigiana. Lui, il più piccolo e indifeso, strappato alle braccia di sua mamma Silvia dalla furia della tempesta. «Non ho tempo per arrabbiarmi – spiegava nei giorni scorsi suo padre – perché devo stare qui in mezzo al fango per trovare mio figlio e se sarà morto allora inizierò a girare l’Italia per raccontare il mio Mattia, la nostra splendida vita. Non parlerò mai di morte. Solo così risveglierò le coscienze sopite». Come giornali cattolici abbiamo il dovere di salvare dal fango ogni parola e ogni gesto d’amore che mostrano la forza della vita nonostante la morte, come insegna questo padre che oggi aggiunge una dedica speciale per suo figlio: «Torneremo a girare in vespa e a tirar baci. Mattia saluta tutti. Vi vogliamo bene».