Il 13 luglio scorso “Casa Padre Damiani”, casa di riposo e residenza protetta, ha scritto il numero 25 sulla sua torta di compleanno. Era il 13 luglio 1997 infatti, quando l’allora vescovo di Pesaro monsignor Gaetano Michetti impartiva la sua benedizione durante la cerimonia di inaugurazione di questa struttura, insieme ad un trafelato ed emozionato Cesare Ceccolini, diacono “in grembiule” che in totale gratuità aveva colto l’invito di esserne nominato direttore. Si realizzava così l’ultimo sogno di un sacerdote e profeta dei nostri tempi, padre Pietro Damiani (che si volle cambiare il nome nel giorno della sua ordinazione sacerdotale sostituendolo a quello scelto per lui dal padre che, da fervente mazziniano e inizialmente anarchico, lo aveva chiamato Calvino, sognando per il proprio figlio tutt’altra strada rispetto a quella sacerdotale). Un sacerdozio che sfocerà presto in un’opera straordinaria, una casa di accoglienza e un’opportunità di studio, per migliaia di bambini e ragazzi che la guerra e l’odio avevano reso orfani e profughi. Ma anche padre Pietro sperimenterà alla fine della sua corsa lo stadio della vecchiaia, l’inizio di un conflitto con il proprio corpo e le proprie risorse fisiche e psichiche. Da uomo atletico ed energico, prestante e forte, ad anziano fragile e bisognoso delle cure degli altri, come i bambini che tanto aveva aiutato in giovinezza. E così, dopo avere sperimentato tutta la complessità dell’ultimo stadio della vita, che anche gli psicologi definiscono il più critico insieme a quello dell’adolescenza, proprio per la crisi di identità che connota entrambi, padre Pietro pensò di donare parte della sua opera all’arcidiocesi per realizzarvi una casa. Ma questa volta per accogliere un altro tipo di orfani, non più fanciulli e che come lui stavano vivendo l’esperienza della fragilità, del bisogno dell’altro, della necessità di integrazione di tutte le esperienze e gli affetti delle fasi precedenti, al bivio tra bilanci positivi e senso di compiutezza o disperazione e solitudine. Padre Pietro non vedrà con i suoi occhi l’inaugurazione della sua nuova casa perché morirà il mese prima ma siamo certi che con la sua paterna preghiera e custodia, dal cielo continua ogni giorno a vegliare sugli anziani che vivono in questa casa e su tutte le persone che vi lavorano. La sua vita di credente che ha posto le sue doti al servizio della Provvidenza, come gioiosa restituzione dei doni ricevuti, ha portato abbondante frutto e continua a portarne tuttora.
Commuove il messaggio di Papa Francesco scritto in occasione della II “Giornata mondiale dei nonni e degli anziani” che si terrà domenica 24 luglio. Lo ha scritto al plurale, ma non un plurale maiestatis proclamato da un trono, semmai un “noi” pieno di consapevolezza invocato da una carrozzina. Nella lettera il Papa, sulle note del Salmo 92, invita tutti gli anziani a diventare protagonisti di quella che lui chiama “rivoluzione della tenerezza”, attraverso le armi della preghiera quotidiana, dell’ascolto della Parola, della consuetudine ai Sacramenti e della partecipazione alla Liturgia. È una chiamata alla consapevolezza della propria vocazione di miti insegnanti della prossimità e dell’attenzione verso gli ultimi, i deboli, gli scartati di oggi; di una chiamata alla custodia del mondo, della famiglia umana intera e dei suoi piccoli, su cui fissare il proprio sguardo con lo stesso amore con cui si guardano i propri nipoti. Una chiamata ad allargare il proprio cuore e la propria attenzione proprio in una fase della vita in cui fisiologicamente si è tentati di restringere gli orizzonti, isolarsi e ritirarsi. Una bella sfida, un paradosso e un mistero quello a cui ci chiama Gesù dall’alto della croce e che San Paolo sperimenterà sulla sua pelle esclamando: “quando sono debole, è allora che sono forte.” (2 Cor.12,10).
Un paio di settimane fa, una sera ha suonato alla nostra porta un anziano nonno, che accompagnato da figlia, genero e nipoti, tornava dal mare e prima di rientrare nella sua Perugia. Voleva rivedere i luoghi dell’infanzia e farli conoscere alla sua famiglia. Ci raccontò che padre Damiani e suo fratello andarono e tornarono in giornata in auto a Roma per portare lui, di appena sei anni e suo fratello di dieci, a Pesaro, perché rimasti orfani di padre e di madre. Ricordava perfettamente quei momenti e di come al loro arrivo, di notte furono accolti, lavati vestiti e messi a letto. I suoi occhi lucidi, i nostri e quelli dei suoi familiari, mentre ora ci faceva da guida in questi luoghi così ricchi di emozioni per lui, ci hanno regalato, in questo nostro tempo inquieto, minato da pandemie del corpo e del cuore, un assaggio dei frutti di quella “rivoluzione della tenerezza” di cui parla Papa Francesco. Di quella ricchezza che non si compra perché è fatta di vita e di relazioni, ma che si lascia anche in eredità, “perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6, 19-23).
Sì, cari nonni e anziani, è proprio vero: potete dare ancora tanto frutto “come olivi verdeggianti nella casa di Dio” e insegnarci a rallentare le nostre corse superbe e a smilitarizzare i nostri cuori induriti che non riescono più a vedere nell’altro un fratello. Una responsabilità ma soprattutto un grande dono per noi poter lavorare con voi e per voi, in una casa nata da un sogno di chi ha scelto di vivere tutta la sua vita alla sequela di Gesù.
Angela Polselli * Direttrice “Casa Padre Damiani” – Pesaro