Dopo 5 anni di interruzione la festa del Patrono tornerà ad essere celebrata nella sua forma tradizionale insieme al pellegrinaggio a piedi al Pelingo che partirà dal nuovo santuario di Ca’ Staccolo.
L’1 e il 2 giugno tornano per la comunità diocesana due importanti appuntamenti nella loro forma tradizionale. Il primo è la solennità di San Crescentino che quest’anno si celebrerà nuovamente in cattedrale dopo ben 5 anni di interruzione tra terremoto e covid. Inoltre, dopo due anni tornerà anche la processione per le vie del centro. Il secondo appuntamento è in programma il giorno successivo; sempre dopo due anni di stop, riparte anche il pellegrinaggio diocesano al santuario del Pelingo. Anche qui con una novità: la partenza sarà dal Santuario di Ca’ Staccolo. Abbiamo sentito l’arcivescovo mons. Giovanni Tani per alcune riflessioni sulle due giornate.
Quanto è importante tornare a celebrare il proprio patrono in cattedrale? Penso che significhi riprendere il filo di una tradizione che ha sempre visto la festa in Cattedrale dalla quale il Santo esce per la processione e nella quale rientra, non senza aver prima benedetto la città e tutti i cittadini. C’è da dire che anche la celebrazione in piazza Rinascimento aveva il suo fascino, con tutta la gente ordinata e attenta che seguiva la celebrazione. Ma è bene ritornare alla tradizione, anche perché in questo caso è il segnale di superamento dell’emergenza Covid.
Che cosa significa procedere con la statua di un santo per la città? La processione ha molti significati. Portare il Santo vicino ad ogni luogo e quindi mostrare la sua vicinanza a tutti. Significa anche che tutta la città accoglie il Santo. È una accoglienza reciproca. Ma il camminare significa sottolineare la vita come pellegrinaggio. Gli Urbinati sono molto affezionati a San Crescentino. Non si vede mai tanta partecipazione come quando il Santo esce per le vie della città. Anche la gente che assiste, ferma nei bar o per le strade, è attenta e rispettosa.
C’è un San Crescentino che ricorda particolarmente da quando è arcivescovo? Il primo anno, nel 2012, quando ho vissuto con bella sorpresa tutta la coralità cittadina attorno al suo Santo. Poi l’emozione del 2020, dopo i mesi duri del Covid, con tutte le restrizioni richieste: trovarci a celebrare in piazza fu una emozione grande.
Si torna anche al Pelingo: è un pellegrinaggio che ha quasi sempre fatto a piedi in prima persona. Cosa le è piaciuto dell’iniziativa sin dall’inizio? La sua semplicità, anche perché la partecipazione non è mai così numerosa da richiedere una grande organizzazione. Il percorso è vario e piacevole, la gente prega volentieri. Ricordo l’entusiasmo di don Umberto nell’organizzare e seguire il percorso col suo pulmino. Ci sono poi gesti tradizionali come l’ultimissimo tratto, fatto con bandiere: quasi un arrivo trionfale. Quest’anno sarà il 43° dal suo inizio.
Quest’anno la partenza sarà nuova, da Cà Staccolo. Come mai? Urbino ha un suo Santuario, ormai avviato. È sembrato bello unire questi due Santuari della nostra Diocesi. Un legame ideale che è certamente molto significativo.
Come si intrecciano questi due appuntamenti col sinodo in corso? In entrambi c’è un cammino, e il sinodo è un camminare insieme. Cercheremo in tutte e due gli eventi di pregare molto affinché il sinodo nostro e quello generale indetto da Papa Francesco possano raggiungere lo scopo di rendere la Chiesa un segno ancora più forte per il mondo.