“Contagiata sui pulmini della
dialisi così è deceduta Anna”
Pesaro
A CURA DI ROBERTO MAZZOLI
I numeri drammatici, e peraltro sottostimati, li conosciamo bene. Fotografano un’emergenza sanitaria mai vista prima; ora però emergono le testimonianze preziose di tante famiglie che ci consentono di comprendere meglio cosa sta accadendo nella nostra città. Per capire come si è acceso il focolaio di Pesaro, che oggi fa registrare percentuali di contagi e decessi tra i più alti d’Italia, bisogna analizzare gli avvenimenti degli ultimi giorni di febbraio. La vicenda della signora Anna Barattini di 81 anni, è emblematica. A raccontarla è sua figlia Marina Bartolucci, stimata odontoiatra di Pesaro. La sua voce descrive come molti dei contagi siano avvenuti sui pulmini adibiti al trasporto dei dializzati pesaresi, dove risulta positivo al tampone anche uno degli autisti.
Dottoressa Bartolucci, anzitutto chi era sua mamma?
Una donna straordinaria e punto di riferimento per tutta la famiglia oggi devastata. Il 7 maggio prossimo avrebbe fatto due anni di dialisi ma purtroppo non c’è arrivata. Premetto che lei si è sempre trovata molto bene nel reparto. L’accompagnavo io a fare la dialisi ma rincasava col pulmino. Tutto inizia con l’esordio della febbre domenica 1 marzo. Poco prima di ammalarsi ci ha detto che nel suo pulmino avevano fatto salire una persona con febbre e tosse. Poi si è saputo che si trattava di un paziente Covid. Ma anche se in quel momento questa persona non aveva ancora un tampone positivo, mi domando come sia stato possibile far viaggiare sul pulmino dei dializzati altri pazienti con patologie infettive. Al di là del coronavirus è comunque un errore grave. In seguito ho saputo che nella stanza di mia mamma sono morti altri due pazienti ed uno di loro prendeva ugualmente il pulmino.
Non un caso isolato quindi?
No, e da lì è partita una valanga. Anche noi familiari ci siamo ammalati. A me è venuta la febbre martedì 3 marzo e poi anche a mio padre e a mia nipote che era passata a salutare mia madre. Io stessa ho scoperto poi di aver trasmesso il virus ad altra gente, ed i parenti più anziani di queste persone oggi sono morti.
Cos’è successo nei giorni seguenti?
Il 1° marzo ho chiamato in reparto per sapere se la mamma potesse fare la dialisi. Mi hanno risposto di sì ma che, visti i sintomi, avrei dovuto accompagnarla e riprenderla con la mia auto.
Quindi non avrebbe potuto usare il pulmino?
Esatto, eppure fino a pochi giorni prima nessuno ha avuto questa precauzione verso chi aveva la febbre. Sempre il 1° marzo mi hanno richiamato dal reparto chiedendoci di andare al pronto soccorso. Evidentemente già sapevano di altri casi positivi. Al pronto soccorso si sono arrabbiati con i colleghi della dialisi; le hanno fatto una lastra ma non il tampone che avevano programmato. Quindi a mezzanotte l’ho riportata a casa e l’indomani (2 marzo) l’ho accompagnata per la dialisi. Alle 15.30 dello stesso giorno me l’hanno fatta riportare su per il tampone. Di errori ne sono stati fatti tanti ma capisco che si era all’inizio del caos. Per mia mamma l’errore del pulmino è stato fatale, è come aver condannato a morte una persona.
Come si è evoluta poi la situazione?
Mercoledì 4 marzo hanno comunicato l’esito positivo del tampone e poco dopo le è stata prescritta una terapia antivirale. Il 6 marzo sono venuti a prendere mia mamma per fare la dialisi perché anche io ero ormai positiva al Covid e non potevo più muovermi. Sabato 7 marzo ho richiamato in reparto per informare che stava molto male però mi hanno risposto che era meglio tenerla a casa. Lunedì 9 marzo sono venuti a prenderla con l’ambulanza per farle la dialisi. Quella mattina le hanno fatto la tac ed è stata diagnosticata una polmonite bilaterale e a quel punto è stata ricoverata. Ma ormai era passata una settimana dal primo accesso al pronto soccorso. Dopo non l’ho più rivista.
A casa vi era possibile contenere il contagio?
No, infatti mia madre ha contagiato mio padre Marino di 84 anni che tra l’altro ha una bronchite cronica ostruttiva di quarto stadio e nessuno lo ha mai visitato. Io che abito nell’appartamento di sopra ho preferito proteggere il mio compagno e mio figlio trasferendomi dai miei genitori.
Quando è morta sua mamma?
Giovedì 26 marzo. So che ha continuato per altre cinque volte a fare la dialisi. L’ho sentita al cellulare fino a mercoledì 18 marzo ma riusciva a parlare solo pochi secondi. Era devastata anche perché le hanno messo l’ossigeno ma mi hanno detto che non l’avrebbero intubata.
Perché?
La sua condizione di dializzata non lo consentiva e poi di posti letto non ce n’erano più. Alla fine si è spenta con la morfina, ma per resistere 17 giorni mia madre aveva una fibra forte e forse se avesse avuto cure immediate sarebbe ancora con noi.
È rimasta in contatto con altri dializzati?
Sì, in particolare con la moglie di un signore del turno di mia mamma che mi ha detto che il marito è morto due ore dopo mia madre. Ed anche lui prendeva il pulmino.
Vuole aggiungere qualcosa?
Vorrei ringraziare il personale sanitario del reparto dialisi che è stato sempre squisito in questi quasi due anni di assistenza a mia madre. Immagino che il reparto non sappia granché sul trasporto dei pulmini ma credo che a qualcuno competa questa responsabilità: può sembrare una questione secondaria ma nel nostro e in altri casi è stata fatale. Ora vorrei che la mia testimonianza servisse per non ripetere più errori simili.
Altri dializzati in quarantena
Tra le varie segnalazioni abbiamo raccolto quella di una famiglia di cui per rispetto alla privacy non citiamo il nome.
«Da novembre 2019 mia mamma ha iniziato la dialisi e abbiamo trovato un reparto splendido umanamente e professionalmente. A seguito di un doppio intervento è stata dimessa dal S. Salvatore di Pesaro il 26 febbraio, proprio quando a Pesaro arrivavano i primi pazienti Covid. Noi abbiamo avuto la fortuna di non aver mai usato i pulmini perché essendo tre figli riusciamo ad alternarci bene. Sabato 29 febbraio nostra mamma ha fatto la dialisi e venerdì 6 marzo ci hanno chiamato da Fano per avvertirci che in quella data nella sua stanza era presente un paziente Covid, che nei giorni seguenti mia madre non ha mai più rivisto. Da quel momento in poi abbiamo visto cambiare molte cose in ospedale. Mia madre ha fatto la dialisi da sola per un po’ di giorni, poi hanno iniziato a distanziare i lettini rispetto al consueto mezzo metro uno dall’altro. Se prima in sala c’erano sei lettini ora ce ne sono tre. È stata poi istituita una zona filtro e prima di entrare qui viene misurata la temperatura, anche se purtroppo il primo giorno di apertura, in questa sala d’attesa, era presente un paziente con 38 di febbre. Oggi la sensazione è che ci sia la massima attenzione e protezione verso i pazienti in dialisi che arrivano in orari scaglionati per evitare concentrazione di gente».