Cinquecento anni fa, era il 1520, Raffaello moriva improvvisamente a Roma colpito da una febbre fulminante all’età di 37 anni. In questi cinque secoli la sua fama, che all’epoca era immensa, non solo non è diminuita come per quasi tutti i suoi colleghi artisti, ma è costantemente cresciuta. La sua arte non è mai passata di moda, il valore delle sue opere è sempre aumentato, sono sorte correnti che lo imitavano e persino che lo prendevano come termine ultimo (i preraffaelliti), sono nati falsari e copisti, insomma, tralasciato Leonardo che già in vita aveva varcato i confini italiani, Raffaello è tuttora il più famoso pittore del mondo.
Mostra. Ad Urbino che gli ha dato i natali, la prima formazione, la prima bottega e un ambiente unico e stimolante come la corte ducale, le celebrazioni non potevano che iniziare con una grande mostra. “Raffaello e gli amici di Urbino” resterà aperta fino al 19 gennaio 2020, passando poi il testimone ad altre esposizioni dedicate al ‘divino’ in tutto il mondo. Il penultimo regalo del direttore Aufreiter prima di lasciare la galleria (l’ultimo sarà la mostra di maioliche a fine mese).
Splendore. Può apparire facile e scontato elogiare genericamente una mostra dedicata a Raffaello, quindi mettiamo le mani avanti e cominciamo subito con elencare i capolavori presenti: la Madonna Aldobrandini, dalla National Gallery di Londra, scelta anche come manifesto dell’evento, è una vera gioia per gli occhi. I visi tipici del Sanzio, le pose tornite e studiate memori di Michelangelo, il gioco di sguardi nel segno di Leonardo, lo sfondo che ricorda il padre Giovanni Santi. A pochi passi, la piccola Madonna Conestabile, dall’Ermitage di San Pietroburgo, che riflette gli studi sulle miniature che il giovane Raffaello fece nella biblioteca di Palazzo Ducale. Ancora qualche metro e troviamo la Donna Gravida da Firenze, il San Sebastiano da Bergamo, la Madonna Mackintosh sempre da Londra e un maestoso cartone a carboncino che troneggia possente sui visitatori nell’ultima sala. Per non parlare di numerosi disegni di piccole dimensioni, alcuni davvero dei gioielli, sparsi in ogni stanza.
Amici. A riempire le sei sale però non sono solo le 19 opere del Sanzio. Le curatrici Silvia Ginzburg e Barbara Agosti hanno infatti indagato il rapporto con numerosi suoi allievi e amici, soffermandosi in particolare su Girolamo Genga e Timoteo Viti, ma anche Domenico Alfani, Raffaellino del Colle, Perugino, Signorelli, Penni, Giulio Romano. Ne consegue un numero davvero alto di opere che ci si aspetterebbe ‘di contorno’ ma che in realtà spiccano anch’esse per bellezza e riferimenti ai quadri di Raffaello e rendono fluida la visita accompagnando il pubblico tra un capolavoro del maestro e l’altro. È una mostra che rimarrà certamente negli annali, dopo quella del 2009 e speriamo prima di tante altre che verranno in futuro.
Giovanni Volponi