Claudio Bevegni, docente di Tradizione dei testi classici, per i tipi della Biblioteca Adelphi (n° 674) ha pubblicato lo scorso anno in versione italiana le “Lettere prefatorie a edizioni greche” di Aldo Manuzio, editore veneziano per antonomasia del XVI secolo. Ad impreziosire il volume un «agile ed illuminante saggio di Nigel Wilson, insigne grecista, a lungo docente al Lincoln College di Oxford». Ricca di note ed essenziali – ma al tempo stesso eruditi – commenti (storici, biografici e filologici), l’opera si presenta come un condensato della cultura letteraria, filologica e classicista del ‘500. Protagonisti sono indubbiamente innanzitutto gli autori greci le cui opere Aldo Manuzio ha dato alle stampe nella sua “Casa”, come lui stesso più volte chiama la sua officina. Ma al pari protagonisti sono pure i destinatari delle opere date alle stampe, gli uomini più illustri, non solo italiani, nel campo della cultura del tempo: letterati (Marco Musuro, Alberto Pio da Carpi, per citarne alcuni) e principi (Guidubaldo da Montefeltro, figlio del Duca Federico, ad esempio), mecenati e anche un papa, Leone X (Giovanni de’ Medici, figlio del grande Lorenzo).
E che dire, infine, dello stesso Aldo Manuzio? È limitante definirlo con un semplice appellativo ed è certamente molto più di un editore. Usando un’espressione oggi di moda, può essere definito a buon diritto un mediatore culturale. Il suo amore per i classici, la sua profonda e appassionata conoscenza del latino e del greco, gli hanno permesso di pubblicare e di rendere quindi fruibili al maggior numero di studiosi possibile questi capolavori (filologicamente emendati dalle corruttele delle tradizioni manoscritte) nella lingua originale e molto spesso con una sua traduzione latina a fronte, ad uso e beneficio di chi «si avvia – sono parole sue – a conoscere il greco» Dalla lettura delle lettere emerge chiara la sua fine, profonda ed “enciclopedica” cultura. Ma soprattutto emerge (anche perché in più passaggi viene esplicitato) il suo vivo desiderio che le opere dei classici, in quanto patrimonio dell’umanità, non divengano proprietà di nessuno. Scrive in un passaggio (p. 70): «se vi sono individui d’animo tanto gretto da dispiacersi per un bene che è a tutti comune, ebbene costoro scoppino per l’invidia». In conclusione, Aldo Manuzio è davvero un benefattore dell’umanità, proprio nel segno di quell’humanitas che nel XV e nel XVI secolo ha fatto grande l’Italia e, nel nostro caso, Venezia. E Claudio Bevegni, con questa pubblicazione, favorisce certamente la diffusione di un così inestimabile ed inesauribile patrimonio.