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      Home » MOSTRA DEL CINEMA DI PESARO (1) / Pellicola anti femminile e cinema di retroguardia
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      MOSTRA DEL CINEMA DI PESARO (1) / Pellicola anti femminile e cinema di retroguardia

      RedazioneDi RedazioneNessun commento6 minuti di lettura
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      SILVIA CECCHI SOSTITUTO PROCURATORE E MEMBRO DELLE PARI OPPORTUNITÀ ANM

      Pellicola anti femminile

      e cinema di retroguardia

       

      Dottoressa Cecchi, lei come Sostituto Procuratore della Repubblica è abituata a giudicare in modo oggettivo, come valuta la pellicola pornografica Queen Kong recentemente proiettata alla 52^ mostra del cinema di Pesaro?

      Come prodotto filmico si vede una certa perizia nell’uso della cinepresa, e la mostra poteva aprirsi anche ad un esperimento sociologico perché si attesta l’esistenza di una corrente in questa direzione.

      Gli autori della pellicola e il direttore della mostra hanno definito il cortometraggio come un capolavoro artistico. Lei cosa ne pensa?

      L’opera d’arte è auto-significante. Può anche provocare repulsione ma deve accrescere un minimo di conoscenza o al limite metterci in crisi. Questa pellicola non mi ha dato nulla di tutto ciò.

      Lei pensa che la città aveva il diritto di esprimersi sulla mostra?

      Certo, ma in questo caso il pubblico è stato messo in difficoltà. Regista e attori hanno proposto un’interpretazione minimale del cortometraggio. È mancato uno spazio interlocutorio, forse per imbarazzo, immaginando che il pubblico potesse avere pregiudizi. Il messaggio è stato presentato con una carica tale che probabilmente ha scoraggiato gli interventi di chi non abbia voluto sentirsi tacciare di retroguardia. Ma questa proposta non è certamente di avanguardia.

      Lei cosa avrebbe suggerito?

      Visto che sapevano di proporre un tema di rottura, avrebbero potuto interpellare maggiormente il pubblico. Non possono immaginare che le loro fantasie private coincidano con quelle di tutti. Sarebbe stato opportuno un contraddittorio. Mi sarebbe piaciuto intervenire pubblicamente ma la tavola rotonda era piuttosto autoreferenziale.

      Cosa ne pensa dell’opportunità di proporre un prodotto porno in una mostra del cinema?

      Chi come me è contrario a ogni censura è interessato più a elaborare il significato del prodotto presentato che non a considerare la sua opportunità di renderlo pubblico. Ma in un’epoca come la nostra in cui aumentano per esempio i femminicidi sarei piuttosto preoccupata di un genere che deliberatamente sceglie di alimentarsi di un fondo libidico che è contiguo allo stesso fondo libidico di cui si alimenta la violenza.

      Cosa manca in questa proposta cinematografica?

      Il soggetto femminile. La donna è raffigurata con lo stereotipo della “strega” e del fantasma quasi demoniaco. Non si potrebbe andare più indietro di così. Di erotismo c’è poco. La protagonista mi sembra solo l’oggetto di una fantasia maschile. Tanto più che è sdoppiata in due identità.

      Ma la pornostar Valentina Nappi dice che il protagonista non è l’uomo visto che si tratta “di uno stupro su un maschio”.

      Io non ho letto il film in questa chiave perché sarebbe stato ancora più grave, per il collegamento diretto alla violenza. Il ruolo attivo e passivo non coincidono con la soggettività e il suo contrario Qui c’è un grosso equivoco. Nel film c’è una mancanza di consapevolezza sul significato di soggettività soprattutto femminile. Non a caso emerge una forte contraddizione di vedute negli stessi attori: Luca Lionello ha evocato un senso di morte mentre per Valentina Nappi sembravano prevalere leggerezza e vena ironica.

      Cosa significa stereotipo femminile legato al demonio?

      Chiunque avesse letto i verbali di un procedimento di stregoneria medievale sa che questi sono pieni di annotazioni pornografiche in senso stretto. Le donne erano costrette ad ammettere di avere il demonio dentro. I particolari anatomici scabrosi suscitavano ossessioni “pornografiche”: l’operazione di cui parliamo, letta in questa chiave, appare di una vetustà sconcertante. Al film si potrebbe riconoscere semmai un tentativo estetico espressionista ma non basta la musica di Chopin a dare una patente poetica al cortometraggio…

      La direzione della mostra ha ipotizzato anche un aspetto educativo

      Anche in campo pedagogico non metto censure, ma l’educazione deve prendere le mosse dalla integrazione delle realtà che compongono la persona umana, a cominciare dall’affettività, altrimenti si cade nell’ideologia.

      La mostra ha scelto la pellicola anche per l’aspetto liberatorio dal tabù del sesso

      Ma oggi ci sono tabù più grandi di quello sessuale: il denaro per esempio è un tabù fortissimo. Per me non ci sarebbe stato niente di male nel dichiarare che un’operazione pornografica come questa è legata anche al “buon cachet” che essa assicura: ma questo non viene facilmente detto proprio a causa di un tabù. Per quanto riguarda il tabù sessuale, il film non mi appare particolarmente liberatorio.

      Qualcuno ha letto nel film la rivalsa della donna sull’uomo

      Il pensiero femminile da più di un secolo rivendica piuttosto il rispetto delle differenze, rispetto al quale un revanscismo non apporterebbe alcuna aggiunta di valore. La donna è pacifica per natura. La nostra cultura soffre semmai dell’incapacità ad integrare affettività e sessualità. Nella pornografia vi è la de-contestualizzazione di un aspetto della persona rispetto all’altro. Nell’erotismo e nell’amore c’è invece integrazione tra corpo e spirito. La pornografia deliberatamente sceglie di separare le due sfere. E questo lo vediamo bene nei giovani che spesso addirittura si dolgono di una riduzione di entrambi i generi (femminile e maschile) ad una stessa parte indifferenziata, il cui unico polo dialettico di riferimento opposto è costituito da un pervasivo nichilismo edonistico: come mi diceva proprio mia figlia Angioletta, interpretando i sentimenti contraddittori della sua generazione.

      Josè Saramago diceva “se l’etica smette di governare la ragione, la ragione finirà per disprezzare l’etica”. Questa operazione di deliberata separazione mi preoccupa perché quando si elimina l’affettività il tema sessuale diventa meccanicamente pornografico e fa un passo indietro nella costruzione del soggetto, maschile o femminile che sia.

      Come definirebbe il messaggio femminile nel film?

      Confuso e anti femminile. Il film appare tenebroso, dice una sessualità antigioiosa e quasi demoniaca: sono le antiche paure del maschio che Fellini ha saputo esprimere così bene.

      Lei fa parte anche della Commissione per le pari opportunità dell’Associazione Nazionale Magistrati.

      Sì e nel suo ambito ci interroghiamo sui rapporti tra donna e potere, per esempio, e sul contributo femminile ai risultati della stessa attività della giurisdizione.

      Qual è la sfida della modernità?

      La vera avanguardia è riuscire a capire come due mondi così lontani come quello maschile e femminile riescano ad integrarsi per tirare fuori il meglio da ciascuno. La via della costruzione di una relazione qualitativamente alta tra uomo e donna non conosce a mio avviso scorciatoie facili. La donna ha una predisposizione naturale e culturale all’integrazione delle varie parti del sé, ad un linguaggio del corpo, alla valorizzazione del corpo-anima, in tutti i suoi segni, anche i segni del tempo e della sofferenza, dell’impegno e della maternità.

      A cura di Roberto Mazzoli

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