«Bang, sei morto»! Quante volte abbiamo pronunciato questa frase da piccoli oppure da adulti mettendo le dita a pistola per scherzare con i nostri figli. Un gioco e nulla più. Il discorso cambia quando un genitore addestra i propri figli di 8/9 anni alla pratica del “softair”. Qui le armi sono ad aria compressa e i proiettili di plastica possono causare lesioni anche gravi ma ciò non accade se si usano le dovute protezioni. Dato il particolare realismo delle attrezzature, è fondamentale per lo svolgimento dell’attività che i partecipanti comunichino luogo, ora e data dei raduni, alle autorità di pubblica sicurezza, così da non incorrere in problemi con i residenti nell’area. In Italia si calcolano almeno 60mila “softgunners” e molti di questi sono ragazzini. Tute mimetiche, elmetti, maschere antigas, bombe a mano… Interi week-end passati nei boschi a combattere tra bambini e “adulti”.
Li abbiamo visti in azione qualche settimana fa, sui monti delle Cesane vicino ad Urbino. Numerosi ragazzini tra i 9 e i 15 anni si sono affrontati a colpi di Kalashnikov guidati dai rispettivi genitori in una sorta di guerra con l’obiettivo di disinnescare nientemeno che una bomba nucleare.
Tutto finzione (e ci mancherebbe pure!) ma è lecito domandarsi: perché un genitore propone a suo figlio di impugnare un Kalashnikov invece di una racchetta da tennis? Che educazione diamo a questi figli? «Il “softair” – dice lo psicoterapeuta Daniele Marini (vd. pag. 3) –non è modalità educativa perché nella sua ricerca ossessiva di particolari di ambienti e strumenti di guerra rischia di promuovere nei bambini un eccessivo coinvolgimento di energie fisiche e cognitive». Sembra prenderne le distanze anche il coordinatore tecnico-organizzativo del C.O.N.I della provincia di Pesaro e Urbino, Gianluigi Fabbri, che laconicamente ci informa che il “softair” non è riconosciuto dal Comitato Olimpico.
Ogni giorno ci passa sotto gli occhi la violenza del nuovo drammatico conflitto Israelo-Hamas. Centinaia di morti, molti dei quali bambini. Per loro la guerra non è affatto un gioco. Doveroso allora interrogarsi su questa “anestesia emotiva” che ormai abbiamo nei confronti di una realtà che porta un nome terrificante: guerra. Ci siamo abituati a pronunciarla con tale disinvoltura tanto da giocarci. Sul serio!
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