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      Home » L’identità naturale della famiglia
      Pesaro

      L’identità naturale della famiglia

      admin-6535Di admin-6535Nessun commento4 minuti di lettura
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      Quali certezze in merito
      alla famiglia i cattolici
      sono chiamati a
      riaffermare nel clima
      culturale di oggi? Che cosa significa
      propriamente che “la famiglia
      viene educata dall’eucarestia”? E
      gli Operatori Pastorali come possono
      supportare l’azione educativa
      della famiglia stessa?
      Sono le tre domande su cui si è
      sviluppato – in stretta continuità
      tematica con il Convegno diocesano
      dello scorso settembre – l’incontro
      che Mons. Piero Coccia ha
      tenuto sabato 5 novembre per gli
      Operatori Pastorali della Vicaria
      di Montecchio, alla presenza del
      Vicario don Giorgio Paolini e dei
      parroci don Giuseppe Signoretti,
      don Lorenzo, don Orlando, don
      Stefano, don Valentino.
      Quali certezze sulla famiglia
      i cattolici son chiamati a riaffermare
      nel clima culturale di
      oggi?
      Sulla prima domanda l’Arcivescovo
      ha ribadito quanto sta ripetendo
      da tempo, per esortare
      – particolarmente i cattolici impegnati
      in politica – alla difesa e
      alla promozione di questo valore
      “non negoziabile”. Esiste un’identità
      “naturale” della famiglia, che
      è un’ “unione stabile tra un uomo
      e una donna, tesa all’atto procreativo,
      con una valenza sociale riconosciuta”;
      l’azione educativa della
      famiglia precede quella di ogni
      altro soggetto ed è di straordinaria
      importanza perché è in famiglia
      che la persona impara a prendere
      coscienza di sé e a relazionarsi con
      la realtà esterna; la famiglia è una
      risorsa preziosa per la società, non
      solo perché educa, ma anche perché
      produce servizi, ammortizza
      lo stacco generazionale, condiziona
      l’economia di mercato.
      Sappiamo tutti, però, quanto la
      famiglia oggi sia minacciata da
      pesanti spinte disgregatrici. A che
      cosa dunque può ancorarsi la famiglia
      cristiana, per nulla immune
      da tale condizionamento?
      Proprio nell’eucarestia, ha spiegato
      l’Arcivescovo entrando più direttamente
      nel tema del Convegno, la
      famiglia può ritrovare unità e forza
      per resistere alle pressioni esterne.
      Ma in che senso “la famiglia viene
      educata dall’eucarestia”?
      L’eucarestia è presenza di Gesù
      risorto: vivendola, si è educati in
      famiglia a guardare l’altro come
      segno della Sua presenza e quindi
      a rispettarlo per il mistero che è, a
      riconoscerne il valore e la dignità
      assoluta.
      L’eucarestia è dono: dalla sua sorgente
      possono nascere la gratuità,
      la fedeltà, l’accoglienza, rapporti
      antitetici a quelli utilitaristici, rivendicativi,
      possessivi, che spesso
      corrodono la famiglia.
      L’eucarestia è corpo: e come in
      un corpo sono compresenti la varietà
      delle articolazioni e l’unità
      dell’insieme, così nella famiglia la
      diversità dei membri, anziché degenerare
      in frammentazione, può
      saldarsi in un forte legame di appartenenza.
      L’eucarestia è tradizione: farne
      memoria è il compito che ci è stato
      consegnato. E dunque i genitori
      devono trasmettere ai figli il patrimonio
      di certezze e di valori che
      hanno sperimentato come realizzativi
      per sé, senza credere, come
      le tendenze attuali della sociologia
      vorrebbero, che lasciar crescere i
      ragazzi spontaneamente, autonomi
      nelle scelte, significhi rispettare
      la loro libertà.
      L’eucarestia è morte e resurrezione:
      in essa è compresa la totalità
      della vita, il male e la sua redenzione.
      E’ a questa totalità che
      la famiglia deve educare, senza
      censurare il dolore e la morte, su
      cui invece la gaudente società edonistica
      cospira a tacere.
      L’eucarestia è attesa: ci pone nella
      speranza ultima di quella totalità,
      di quell’amore, che ora solo in parte
      sperimentiamo. Possedere una
      grande speranza è la condizione
      fondamentale per educare. Solo
      infatti quando il futuro è certo
      come realtà positiva, vale la pena
      impegnarsi nel presente.
      Come possono gli Operatori
      Pastorali intervenire nell’azione
      educativa della famiglia stessa?
      A questo punto l’Arcivescovo,
      dopo aver sottolineato che il servizio
      degli Operatori, rivolgendosi
      alla persona, non può eludere le
      relazioni fondamentali che la persona
      vive in famiglia, ha affermato
      che essi devono collaborare, non
      come suoi sostituti, ma come sussidiari.
      Esortando poi ad un’azione coordinata
      gli Operatori della Catechesi,
      della Liturgia e della Carità,
      ha chiesto in particolare, ai primi,
      di curare la fede dei genitori, coinvolgendoli
      nella preparazione dei
      figli ai sacramenti dell’iniziazione
      cristiana; ai secondi di coinvolgerli
      nella preparazione dei gesti liturgici,
      soprattutto della Messa; ai terzi
      di creare gruppi di sposi che si facciano
      carico di aiutare le famiglie
      in difficoltà non solo materiale, ma
      anche spirituale.
      Importante è infine, ha ripetuto
      l’Arcivescovo in conclusione,
      formare coppie cristiane su temi
      sociali e politici che tocchino l’istituto
      familiare, sostenendolo con
      scelte politiche ed economiche
      adeguate.
      Paola Campanini

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