Gulag: parola diventata tristemente famosa, potente antidoto, nella coscienza storica e politica, contro un comunismo rivelatosi tutt’altro che portatore di giustizia e uguaglianza.
Una parola che richiama a quei campi di concentramento “correttivi”, disseminati in tutta l’URSS, in cui i “nemici del popolo” venivano deportati e sottoposti a torture, umiliazioni, fame, freddo e ogni sorta di violenze.
Se ne è parlato domenica 28 settembre nella sede dell’Associazione Partenia dove, alla presenza della Presidente Silvia Cecchi e del prof. Paolo Uguccioni che fungeva da moderatore, Roberto Boltri, volontario internazionale dell’ONU di formazione gramsciana, ha presentato il suo ultimo libro “Una tragedia dimenticata”.
Un lavoro drammatico e coinvolgente, che si focalizza sui gulag di Karlag (maschile) e Alzhir (femminile) della città di Karaganda in Kazakistan, dove nel 1942 furono deportati dalla Crimea circa 3000 italiani (soprattutto pugliesi), di cui solo 200 sopravvissuti.
L’autore ricorda che in Crimea i nostri connazionali, presenti fin dall’antichità, erano emigrati soprattutto all’epoca degli zar (tra il 1830 e la fine del sec. XIX) ed erano apprezzati per la loro competenza nell’agricoltura, nella cantieristica navale e nella navigazione.
Con la rivoluzione bolscevica del 1917 la situazione mutò: molti italiani, critici nei confronti della nuova politica e della collettivizzazione forzata di quelle terre che anche loro avevano coltivato con tanto impegno, furono arrestati, torturati e inviati ai lavori forzati nei gulag del Kazakistan, rimanendo vittime, a volte anche per motivi religiosi, della ferocia stalinista.
Proprio in Kazakistan, dove attualmente vive, Boltri giunse nel 1997 (dopo che le vicende della vita lo avevano portato in tanti Paesi europei, africani e asiatici) con il compito “umanitario” di controllare la correttezza delle elezioni presidenziali a Karaganda e di tutelare i diritti dei cittadini.
Quella missione “elettorale”, però, grazie al suo amore per l’Italia, mai dimenticata, e alle informazioni degli amici mons. Edoardo Canetta e mons. Adelio Dell’Oro, si trasformò in una imprevista occasione per approfondire una ricerca, già in parte iniziata, sui gulag kazaki e per raccogliere testimonianze sulla sorte di quegli italiani che, dichiarati dall’URSS “nemici della patria”, vi erano stati deportati.
Sono state così ricostruite tante storie sul campo, attraverso i numerosi rapporti intrecciati dall’autore, le visite alle fosse comuni, il reperimento di documenti: storie di terribile sofferenza, ma anche di resistenza e, incredibilmente, di speranza. Come spesso la storia dell’umanità ci documenta, infatti, anche nelle più drammatiche esperienze di male sopravvive il bene, fatto di dignità, compassione, solidarietà. Dentro la fragilità estrema della condizione umana c’è sempre – irriducibile a ogni logica – la forza straordinaria della speranza, del desiderio di amore e di bellezza.
E’ proprio per testimoniare questo che la diocesi di Karaganda sta realizzando il “Progetto Mayak” elaborato dal Vescovo mons. Dell’Oro: un Centro per adolescenti disabili fisici e psichici che sorgerà nell’area del Gulag Karlag.
Un fiore di solidarietà e pace, che sboccerà nell’inferno della prepotenza e della sopraffazione.