Anche una studentessa della nostra provincia ha rifiutato di sostenere l’orale dell’esame di Stato dopo avere regolarmente svolto le prove scritte ad aver comunque già superato, grazie alla somma fra voti delle prove scritte d’esame e credito scolastico maturato negli ultimi tre anni di studio, il punteggio minimo previsto per conseguire il diploma. Ha dichiarato di averlo fatto, così come alcuni altri studenti in Italia, per dimostrare una forma di protesta contro una scuola ed un esame accusati di essere basati solo sui voti, sulla competizione ed incapaci di valorizzare la persona e il pensiero critico.
Francamente, parlare di eccesso competitivo per un esame che promuove il 99,8 % dei candidati mi pare fuori luogo. Ed inoltre, lavorando nella scuola ormai da molto tempo, credo di poter dire che nella scuola degli ultimi anni l’attenzione verso la promozione del protagonismo studentesco e verso la personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento abbiano uno spazio importante: per fare degli esempi, si pensi allo statuto degli studenti e delle studentesse (promulgato nel 1998 e contenente una serie di diritti studenteschi), o al curriculum dello studente (documento rappresentativo dell’intero profilo dello studente con informazioni anche su sue attività extrascolastiche e che dal 2020 ha un ruolo proprio anche nel nuovo esame di Stato oggi messo in discussione), oppure si pensi ai piani didattici personalizzati per bisogni educativi speciali (introdotti dal 2012). È vero poi però, per la verità, che una cosa sono le norme o le circolari e un’altra cosa sono le persone chiamate a realizzarle. E sono le persone a fare la vera differenza. Ma, su questo piano, è inevitabile che, come nel lavoro e nella vita, anche nella scuola (nonostante la sua specificità) si possano incontrare persone più o meno dotate di passione e più o meno capaci di empatia.
In ogni caso, di fronte a queste prese di posizione degli studenti contestatori durante l’orale d’esame, le reazioni sono diverse: c’è chi esprime condivisione e apprezzamento per giovani che, così facendo, smentirebbero il cliché del giovane apatico; chi, magari con qualche distinguo, ritiene comunque trattarsi di appelli da ascoltare; chi invece critica con nettezza e parla di mancanza di rispetto verso l’istituzione e gli altri studenti, nonché di atteggiamento di moda al facile riparo di un diploma comunque già ottenuto. Il ministro ha promesso un giro di vite: con bocciatura per chi non sostiene la prova orale o rifiuta di rispondere alla commissione.
Nel mio piccolo, oltre ogni esaltazione giovanilistica come oltre ogni crociata di rigida indignazione censoria, una proposta modesta e -spero- di buon senso: dopo aver normato che l’esame per essere valido va espletato in tutte le sue fasi (scritto e orale), si acceda all’orale – diversamente da come avviene invece oggi – senza aver reso noti prima gli esiti delle prove scritte (così da evitare calcoli opportunistici); magari si cambi la formula dell’orale nel pieno rispetto della legge istitutiva del 2017( D.lgs. 62, art. 17, c.9), legge che non prevedeva affatto la proposta iniziale di un unico documento su cui invece la burocrazia delle ordinanze ministeriali fino ad oggi chiede allo studente di proporre quei “collegamenti” con le diverse discipline che inevitabilmente si risolvono per lo più in forzature innaturali; poi, in sede di prova orale, la commissione si limiti a valutare le conoscenze/competenze disciplinari e interdisciplinari che lo studente dimostra; se questi in segno di protesta rifiuterà di rispondere nel merito, la commissione ne prenderà atto e attribuirà il punteggio minimo previsto, che potrà consentire o meno il superamento dell’esame. Salva la libertà di espressione da parte dello studente, salvi la libertà e il dovere di valutazione da parte della scuola! Ognuno con le proprie responsabilità e relative conseguenze.