
Come si può dire di qualcuno che è buono se lo stesso Gesù a chi lo chiamava buono rispose di non esserlo perché soltanto Dio lo è? Certamente vi era in quella risposta la messa in guardia circa ogni nostra pretesa d’essere buoni, ma c’è forse dell’altro di cui tenere conto. E per meglio comprendere cosa vada inteso per bontà, mi sono sembrate illuminanti queste parole dell’ebreo Elias Canetti: “Si intende una vigilanza che non si lascia illudere e non illude, un ricordare che non trascura nulla e non omette nulla. Non si intende la bontà che riesce in qualcosa, ma quella che improvvisamente rimane con le mani vuote. Si intende poi la capacità di sorpresa, anche nell’età più avanzata, la capacità di accusare e adirarsi, ma soltanto se non apportano potere all’irato. E si intende la speranza nonostante la disperazione, speranza che però non tace mai la disperazione” (La provincia dell’uomo). Anche Gesù, mite e umile di cuore, fu a un certo punto costretto a prendere la frusta, a cacciar via dal tempio i mercanti con rabbia, a ribaltare tavoli e sedie.