Può sembrare curioso, ma ogni nuovo anno liturgico, che comincia con la prima domenica di avvento, inizia dalla fine. La Parola del vangelo ci annuncia che “viene il Figlio dell’uomo”. In realtà, più che di “fine”, inteso come sostantivo femminile (“la fine”) lo si deve intendere al maschile: “il” fine. E chi è “il” fine dell’uomo e della storia, il suo termine ultimo e il suo compimento? È Cristo. Questo vuol dire che tutto quello che vivremo durante l’anno e cioè il mistero di Cristo che si dispiega nel tempo: la sua incarnazione, il suo ministero terreno di annuncio del Regno mediante parole e segni, la sua Pasqua di morte e risurrezione, la sua ascensione al cielo e il dono dello Spirito a Pentecoste, hanno come “fine” quello di formare Cristo in noi. Vegliare, tenersi pronti, svegliarsi dal sonno sono i verbi che incontriamo all’inizio dell’Avvento, che, vale la pena ricordare, non è solo attesa di Gesù che viene a Natale (la prima venuta), ma è attesa della sua ultima e definitiva venuta (la seconda venuta), quando verrà a giudicare i vivi e i morti e ricapitolerà tutto in sé per consegnare il Regno al Padre suo e Padre nostro. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia acclamiamo: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”. Questa “attesa” non ha nulla di terrificante e angoscioso, ma è invito a tenere viva la speranza in un compimento, in un incontro che contiene il senso stesso del vivere dell’uomo sulla terra: è qui il cuore della fede. E di questo incontro con il Signore non sappiamo né il giorno né l’ora perché in realtà accade già oggi, nel presente, ma è richiesta la capacità di discernimento, di riconoscere i segni della sua visita. Si può vivere mangiando, bevendo, prendendo moglie, prendendo marito come ai giorni di Noè, senza accorgersi di nulla. La domanda che sta sotto a questa immagine usata da Gesù e rivolta a noi è: come vivo il lavoro, gli affetti, il tempo libero, la relazione con gli altri? Vivo tutto in funzione di me stesso o lo vivo alla luce del Vangelo, da figlio di Dio, da fratello in Cristo? La Parola della prima domenica di Avvento è quindi un richiamo impellente all’importanza del presente, vissuto a occhi aperti, con responsabilità e nell’amore, in particolare verso il povero che incarna il volto di Cristo (“l’avete fatto a me”). Il Signore desidera che viviamo la nostra vita in pienezza per pregustare già qui ed ora la gioia eterna che sarà “domani”. Il Signore è certo che verrà: noi lo crediamo, è questa la nostra fede. Verrà e ci giudicherà: saremo giudicati sull’amore, che è ciò che ci fa passare dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. È cosa buona non sapere quando il Signore verrà, per vivere vigilanti, svegli, operosi nell’amore e farci trovare pronti. Chi attende ha una speranza che lo muove dentro e lo motiva in ogni passo che fa, ma attende davvero solo chi ama. Perché attendere è l’infinito del verbo amare (don Tonino Bello). È andare incontro a Colui che ci ama all’infinito.
*Arcivescovo diocesi di Pesaro
I DOMENICA DI AVVENTO ANNO A MATTEO 24, 37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».