Era la frase preferita della zia di mia moglie di fronte ad abbigliamenti che disapprovava: “Se è la moda allora è inutile discuterne”. Non che avesse torto, l’abbigliamento, specie quello femminile, ha più variazioni degli svolazzi di una farfalla: Gonne lunghissime, medie, corte, cortissime, e poi di nuovo lunghe ecc. Colori vivaci, sobri, funerei, fosforescenti e quanti altri ne contenga la tavolozza dello stilista. Se non bastano le gonne, passiamo ai pantaloni: corti, cortissimi, alla Pinocchio, alla salta fossi, ampi, alla zuava, col cavallo alle caviglie o qualsiasi altro modo che detta la più sfrenata fantasia. La zia si sarebbe rifiutata di commentare, non trovando parole educate da dire. Ma alle donne possiamo perdonare tutto, si vestono per farsi osservare. Chi non possiamo scusare sono gli uomini. Una volta avevano un vestito scuro elegante, e giacche spezzate con due paia di pantaloni in tinta. Servivano a risparmiare perché le giacche durano di più dei pantaloni. Poi c’era l’abbigliamento sportivo: jeans e giubbotti con poche variazioni sul tema. Oggi, specie i giovani, acquistano vestiti neri con giacche cortissime e striminzite, pantaloni al polpaccio che danno l’impressione che abbiano tirato fuori dall’armadio l’abito della cresima. Cravatte rigorosamente nere e sottili con camicie bianche e colletti delle più strane forme. Con questi abiti sostengono il colloquio di lavoro o la tesi di laurea o vanno a parlare con i clienti della ditta che rappresentano. Che questa stringatezza sia ridicola non gli passa nemmeno per la mente, anzi guardano con lieve disapprovazione chi indossa giacche e pantaloni che io definirei normali. Senza giacca portano una camiciola corta fuori dei pantaloni e jeans rigorosamente strappati. I pochi che non si depilano espongono al vento ciuffi di peli sulle gambe ed una pelliccia sul torace. Me se è la moda non si può discuterla.
ALVARO COLI