Da bambino, oggi chi lo direbbe, ero piuttosto gracile e mia madre si raccomandava che continuassi lo studio perché, a suo parere, non ero adatto a lavorare. A quei tempi il lavoro era quasi esclusivamente fatica fisica e sforzi sovrumani. Proseguii malvolentieri gli studi ed una serie di scelte sbagliate mi portarono ad un diploma tecnico (sempre di lavoro manuale si trattava) infine la svolta universitaria con la laurea in biologia. In fondo un vetrino posto sotto il microscopio pesa meno di una zappa o di un tornio. Poi diventai insegnante, seguendo il detto: “Ci sa fare fa, chi non sa fare insegna e – aggiungo io – chi non sa nemmeno insegnare fa il preside”. Infatti terminai la mia carriera come dirigente scolastico. Nel frattempo avevo capito che l’impegno non è solo quello manuale. Frequentando le redazioni dei giornali sentii il detto: “Sempre meglio così che lavorare”. La redazione è un posto curioso; c’è gente che staziona fra le scrivanie senza fare nulla, in attesa che una notizia si faccia avanti e si dimostri degna di essere pubblicata. Alla mia falsa-ingenua domanda se non ritenessero opportuno fare qualcosa, risposero: “La polizia non procede ad un arresto ogni cinque minuti, attende che accada un fatto delittuoso e poi interviene”. Il ragionamento non fa una grinza. A quei tempi c’era il cosiddetto ‘Giro di nera’, una serie di telefonate alle forze dell’ordine e agli ospedali per sapere se non fosse accaduto nulla. Un amico giornalista, molto bravo, nel chiamare una stazione dei carabinieri nell’entroterra pesarese sbagliò numero e si mise in contatto con una casalinga. Alla domanda “Ma da voi non accade nulla?” si sentì rispondere con una informazione che, se non era da prima pagina, era almeno degna di essere pubblicata. Quello trova la notizia anche quando sbaglia numero!