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      Home » La Chiesa pesarese già dimenticata?
      Editoriale

      La Chiesa pesarese già dimenticata?

      RedazioneDi RedazioneNessun commento3 minuti di lettura
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      don bella

      Domenica 9 marzo ha inizio a Pesaro la celebrazione del 70° della Liberazione della città (2 settembre 1944). Quello della camminata (Walkscape) è un’idea felice. Consente di rileggere il territorio a partire dai reperti urbani. L’obiettivo – come è detto nel foglio di indizione –è “ricostruire dalle mappe in cui al dato tecnico si sostituisce una narrazione fatta di frammenti”. Si vuole ricordare e rivivere nella quotidianità degli spazi attraversati, i momenti tragici e importanti di cui sono testimoni e documento. Possono essere raccolti (fotografati, disegnati…), meditati commentati, arricchiti con le nuove testimonianze dei sopravvissuti. Io sono uno di questi, novantenne.

      Con il presente editoriale brevissimamente, da lontano, cercherò di rileggere quei fatti, di aggiungere e correggere e non lasciarmi sedurre da interpretazioni ideologiche che non giovano certamente alla storia. Gli organizzatori fanno un quadro dettagliato del “tributo edilizio” pagato dalla città e dintorni: palazzi, case, ponti, fabbriche, mulini, acquedotti… Non si fa menzione delle chiese, che sono monumenti di storia, arte e cultura (dieci chiese distrutte  tra cui Sant’Antonio (confraternita in Via Branca) e San Rocco (Confraternita in Via S. Francesco), due gioielli del Seicento barocco pesarese. E vittime umane, quante? Il fratello di Mons: Elio Franca viene prelevato dalla TODT per scavare un fossato presso Osteria Nuova e viene barbaramente ucciso con una palata in testa. Per quanto riguarda le mine, un boato: dalla finestra della canonica di S. Maria delle Fabbrecce, il mattino verso le nove, vediamo una gomma di un camion proiettata verso il cielo e un’ombra, la sagoma di un uomo. Corro verso il fiume Foglia, circa cinquecento metri, tre uomini stesi a terra, distanti tra loro, un camion distrutto e un mucchio di arenile da fiume. Pietosamente celebro il rito dell’Unzione e una preghiera silenziosa.

      Il tributo edilizio sarebbe stato ancor più devastante se non ci fosse stata la presenza attiva e autorevole di mons. Stramigioli, Vicario generale e parroco di S. Cassiano, non ha mai cessato di mediare con il Comando tedesco insediato nel Palazzo Ducale. Un esempio fra gli altri: tutto pronto per minare il quadrivio della Pescheria che avrebbe coinvolto tutto il rione dall’ex chiesa del Suffragio alla parrocchiale di S. Cassiano e forse anche S. Agostino e palazzi contigui. La città deserta attende l’arrivo degli alleati. Solo tre preti: mons. Agostino Nardelli, in Via Canonica sorveglia la Cattedrale, ora dopo ora; un giovanissimo prete, cappellano del Duomo, don. Antonio Bertuccioli in modo rocambolesco riesce a traslocare l’urna di S. Terenzio in quel di Trebbio Antico e mons. Stramigioli, ‘difensor civitatis’, non perde mai di vista il Comando tedesco, finché non lascia la città. Dalla terra bruciata di Monterado, dove eravamo sfollati, don Dario Mei ed io, il giorno 4 settembre, all’indomani della  Liberazione, eravamo già piombati nella Pesaro deserta. Installati tra le macerie nel Seminario vescovile, oggi Palazzo Lazzarini, liberiamo la cucina e in pochi giorni diamo vita alla Mensa popolare, volante e poi stabile e sarà la Mensa della POA.

      Già a Roma il 18 aprile Pio XII con mons. Fernando Baldelli di Pergola, fondavano la Pontificia Opera di Assistenza, sicché anche per l’attuale Mensa ODA in Via del Teatro ricorre il 70° anno di età.

      Il secondo evento: tiriamo fuori da un loculo precedentemente murato, un furgone nuovo, regalato da Benelli. Con tavole e travicelli raccolti tra le mura con l’aiuto di Gabellini (poi autista), sistemiamo la parte carrabile, riusciamo a trovare anche la benzina. È l’unico automezzo che scarrozza per la città, a servizio dei cittadini,  inizia l’era della ricostruzione. Ne diviene  il simbolo.

      Raffaele Mazzoli

       

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