L’EDITORIALE – DI PAOLO FUCILI
Consumate la suola delle scarpe
Di giornali ne legge di solito uno solo. La TV fece voto una volta di non guardarla. I suoi profili sui social come Twitter son curati in realtà da un apposito staff. Però ha dedicato ai giornalisti, per la 55^ Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali (16 maggio 2021), una preghiera così appassionata che se ‘depurata’ – se proprio servisse – dai riferimenti al divino, anche al giornalista laico o non credente ispirerebbe pensieri non banali. «Donaci l’onestà di raccontare ciò che abbiamo visto», è l’invocazione finale appunto del messaggio pubblicato da Francesco alla vigilia della loro festa patronale (San Francesco di Sales, 24 gennaio), con cui fa nomi e cognomi dei pericoli incombenti su onori ed oneri dell’informare l’opinione pubblica su qualsiasi tema la riguardi.
Il giornalismo – è la premessa – è andar «dove nessuno va», con «curiosità» e «passione», uscendo «dalla comoda presunzione del già saputo». Bergoglio stesso, ad esempio, in sette anni di pontificato si è portato al seguito i “vaticanisti” in paesi in guerra, baraccopoli da terzo mondo, carceri, fatiscenti ospedali, nelle periferie del pianeta dove pochi, davvero, vanno da sé.
Viaggi, nuove conoscenze di persone, fatti, luoghi, esperienze eccezionali o comunque insolite e privilegiate. Questo, per la fantasia collettiva, è il sale del mestiere che ancor oggi seduce nutrite schiere di aspiranti (e pazienza per altri luoghi comuni meno benevoli, benché non proprio campati in aria).
La prosaica realtà dei fatti, cioè il quotidiano tran tran lavorativo, in verità è un’altra, sennò giornali e notiziari radioTV non sarebbero la fotocopia l’uno dell’altro, «informazione preconfezionata, ‘di palazzo’, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone», osserva critico anche il Papa; un’informazione «costruita nelle redazioni, davanti al computer, sulle reti sociali, senza più consumare la suola delle scarpe».
Ma così chi racconterà – Francesco incalza – i popoli poveri del mondo senza cure né vaccini, alle prese col covid? O le file di famiglie impoverite alla Caritas, per un pacco di viveri? Il rischio, evidenza il Papa, è raccontare anche «la pandemia, e così ogni crisi, solo con gli occhi del mondo più ricco», con quella «vuota eloquenza» che oggi abbonda «nella politica».
Altroché insomma viaggiare, vedere, incontrare, un giornalismo certo più avventuroso e professionale, che però esige pure più risorse. E anche la crisi economica del comparto editoria è realtà, e pure dura, che nemmeno il Papa ignora. Il fatto è che tra tendenza al ribasso degli introiti delle aziende e crisi di credibilità del giornalismo in genere è difficile dire quale sia “uovo” e quale “gallina”. E il moltiplicarsi delle capacità di racconto e condivisione, tramite il web e i social, con annesso rischio di notizie e persino immagini manipolate, semplifica solo in apparenza il quadro.
Sarà pur vero tutto questo, ma è nell’interesse collettivo che i giornalisti siano messi in condizione di fare il proprio lavoro e farlo bene. Questa, non altre, è la concreta preoccupazione che ispira le riflessioni del Papa fin qui illustrate. Interesse anche della Chiesa e del Papa stesso, se è vero che già svariati decenni fa il teologo Karl Barth diceva saggiamente per evangelizzare ci vuole in una mano la Bibbia e un giornale nell’altra. Perché è la Bibbia che per il cristiano, inutile dirlo, contiene la “notizia” che dà senso alla vita e alla storia. Ma solo se calata nella realtà quotidiana, di cui appunto il giornalismo è “racconto”, fa scoccar la scintilla della curiosità.