Emergenza Sanitaria
di Marcella Coppa*
Sono trascorsi due mesi e mezzo dall’inizio della pandemia da Coronavirus che ci ha colti di sorpresa. Increduli abbiamo affrontato un’emergenza sanitaria che ha impegnato e richiamato tutte le risorse umane e materiali reperibili in ogni realtà dell’Asur Marche, in particolare nelle aree vaste più colpite, ovvero AV1 (Fano, Pesaro e Urbino) e AV2 (Fabriano, Jesi, Senigallia, Ancona), poi tutte sono state coinvolte nella messa a punto di strutture ospedaliere Covid, dotate della Rianimazione perché quello era l’obiettivo prioritario: SALVARE PIU’ VITE POSSIBILI. È sembrato di vivere in un incubo, dal quale tutti avrebbero fatto di tutto per svegliarsi e accorgersi che era un brutto sogno. Ma non era così. Le Marche, come altre regioni toccate e ferite da questa pandemia, hanno vissuto quanto è stato raccontato dalle cronache nazionali, l’esercito dei sanitari in prima linea hanno sostenuto turni massacranti, ma possono sicuramente essere orgogliosi di aver dato il meglio dentro ai DPI nei reparti COVID -19.
Sguardo. Con orgoglio possono testimoniare di aver salvato tante vite, ma anche di aver accompagnato i pazienti sia pur con lo sguardo e con una carezza. So con certezza che tanti colleghi hanno pregato con chi stava attraversando il passaggio da questa vita a un’altra; non so descrivere cosa si può provare a dover dire a un congiunto che il suo caro non ce l’ha fatta, ma so cosa si prova a negare a un figlio la possibilità di rivedere per l’ultima volta un genitore, è un dolore interiore profondo, il solo pensiero ancora oggi mi lacera il cuore.
Parole. Trovare le parole per dire che non è possibile e che la norma non lo permette procura una grande ferita e un senso di impotenza. Poi la richiesta del cappellano per la somministrazione del sacramento dell’unzione degli infermi, in certi casi anche qui non è stato possibile e allora con coraggio e trepidazione ho alzato il telefono (in quel frangente rappresentavo la direzione ospedaliera ma anche la Pastorale della salute) e a quella figlia che chiedeva il Perdono Divino per suo padre ho detto: “Il Santo Padre ha decretato l’indulgenza plenaria per tutti coloro che hanno perso e stanno perdendo la vita a causa di questo virus, le assicuro la mia preghiera”. La mia voce era spezzata dalla commozione ma sentire dall’altra parte della cornetta la voce alterata dal pianto che mi ringraziava per quella consolazione che la sollevava, mi ha fatto sentire parte della comunità cristiana che non è stata assente in questo periodo.
Operatori sanitari. Intorno al coronavirus, però c’è anche un altro mondo sanitario che non è l’ospedale, ma la straordinaria squadra sanitaria del territorio, dove medici, infermieri, assistenti sanitari, dal primo tampone risultato positivo, sembra ormai un secolo fa, ha messo in moto una macchina che percorre tante vie ,che ha tante sfaccettature che s’interfacciano tra loro .
Uno spazio assistenziale, senza mura, dove i confini sono sfumati ed affinché al centro della CURA ci sia la persona malata o convalescente ed anche guarita dal COVID-19 è necessario creare relazioni personali e professionali positive, dove è importante integrarsi, comunicare e mettere a disposizione degli altri se stesso con le proprie competenze e con i propri limiti.
E’ sicuramente un spazio da raccontare, uno spazio all’aperto dove si continua a dare valore alla vita e dove si prende in consegna quella persona che con tanto AMORE è stata curata dai colleghi ospedalieri .
*Referente Pastorale della salute Regione Marche