Fano
di Gabriele Darpetti*
Come sarà la nostra economia dopo la pandemia da Covid19? Al di là di tanti pregevoli interventi di economisti e non, che in questo periodo ci hanno aiutato a riflettere, in realtà nessuno lo sa.
Inevitabilmente le Istituzioni nazionali e internazionali dovranno prendere alcuni provvedimenti, ma se continuiamo a seguire i soliti indicatori finiremo per prendere le decisioni sbagliate Bisognerebbe rovesciare il paradigma per cui bisogna prendere decisioni per far crescere l’economia con decisioni che hanno per obiettivo di far crescere il benessere dei cittadini. Ed ecco allora che andrebbero considerati anche altri elementi quali la salute, la giustizia, l’ambiente, l’istruzione, la cultura, il lavoro, la casa, misurandone il grado di “copertura” per ogni componente della comunità. Continuare sulla strada di una crescita economica insostenibile è un suicidio collettivo, ed è necessario che ne prendano coscienza sia l’opinione pubblica nella sua stragrande maggioranza, sia i decisori politici.
Cinque punti. Le prime cinque cose, fra le tante possibili, da trasformare verso questa nuova prospettiva sono a mio avviso: 1) ripensare il sistema finanziario. L’economia per ripartire ha bisogno di denaro “aggiuntivo”, perchè la crisi dell’economia reale significa impossibilità di pagare tutti i fattori della produzione, quindi il credito deve essere messo al servizio del lavoro e dell’economia reale. 2) riabitare le periferie. Serve rinnovare la presenza umana “dentro” il paesaggio collinare e montano della nostra Italia, non solo come luogo poetico fine a se stesso, ma come “generativo di vita buona”. 3) sburocratizzare l’apparato amministrativo. Siamo in una stratificazione di adempimenti formali che ha raggiunto un eccesso che dobbiamo rivedere. Bisogna ricondurre la maggior parte delle attività a un’autodichiarazione di responsabilità con controlli ex-post su ciò che è stato realizzato che ovviamente tenga conto in primis dell’efficacia e non della forma. 4) creare nuovi organismi internazionali. Se vale l’assunto che “nessuno si salva da solo” non solo come persone ma anche come Paesi allora dobbiamo creare dove non ci sono o incrementare di poteri e risorse dove ci sono gli organismi internazionali che riguardano la ricerca e la scienza (che va assolutamente condivisa), la regolazione della protezione dell’ambiente, il controllo sui sistemi finanziari, sull’armonizzazione fiscale, sulle misure anticoncorrenza economica, nonchè sulle tutele del lavoro. 5) dare più peso alle donne. In tutte le attività economiche serve il contributo creativo e pragmatico delle donne. Le donne hanno una preparazione ed una capacità “resiliente” maggiore degli uomini e pertanto serve aumentare la presenza femminile nelle attività lavorative in genere, ma anche con una quota maggiore di donne in posizioni dirigenziali dentro le imprese e le banche. Per tempi nuovi ci sarebbe bisogno di pensieri nuovi e di progetti nuovi, ma ciascuno di noi fa fatica ad uscire dagli scemi classici dell’economia. Per questo dovremo investire di più sui giovani. Ma il vero aiuto che possiamo fornire ai giovani è lo stimolo non ad affrontare il mercato (come spesso si sente dire), ma a modificare questo mercato. Serve alimentare la predisposizione al cambiamento dei giovani, incoraggiarli ad investire nei loro sogni, a reinventare forme di lotte civili e pacifiche per cambiare lo stato delle cose, specie in economia. Dobbiamo infondere loro il coraggio di rovesciare le Istituzioni quando esse non sono strumenti di servizio ma solo strumenti di potere. Finora abbiamo avuto un eccessivo “paternalismo” nei confronti dei giovani. Lasciamoli sbagliare, perchè non è detto che quello che per noi oggi sembra errato, non si riveli invece giusto per l’economia che verrà. Inoltre abbiamo un assoluto bisogno di coltivare imprenditorialità. Non bastano le business school, che semmai producono buoni manager, serve alimentare l’attitudine all’imprenditorialità stimolando la creatività, il senso del rischio, il sogno di osare verso nuove frontiere. La pandemia ha evidenziato la fragilità del nostro modello di sviluppo, ma si può riformare. L’importante è che si uniscano su questo obiettivo uomini e donne di buona volontà che ne hanno coscienza e che sapranno scegliere le coordinate del cambiamento.
*direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro