Record negativo per le nascite in Italia: solo 439.747 i bambini iscritti in anagrafe: minimo storico dall’Unità d’Italia. Difficoltà economiche ma soprattutto individualismo, edonismo e paura del futuro: questa la lettura della sociologa Carla Collicelli.
Professoressa, quali sono i fattori che hanno causato questo progressivo svuotamento delle culle?
I dati Istat confermano un trend che in qualche caso aveva conosciuto delle battute d’arresto ma è ormai una tendenza di lungo periodo. Il calo della natalità è il prodotto di un insieme di motivi. Incidono sicuramente i problemi economici delle famiglie con figli – l’Istat ci dice che la povertà è molto diffusa soprattutto tra le coppie con bambini piccoli – ma da soli non sono sufficienti a spiegare l’intero fenomeno. La seconda causa molto importante, che noi come sociologi della famiglia abbiamo più volte sottolineato, è l’individualismo imperante, l’edonismo che continua a crescere nel vissuto delle persone, nel senso che si antepone la soddisfazione dei bisogni individuali ad altri valori come quello della generatività, della procreazione delle nuove generazioni per il futuro. Un terzo fattore molto evidente, soprattutto in questi ultimi anni, è la paura del futuro.
Come invertire questa rotta?
Si parla spesso della necessità di misure economiche e di sostegno alle famiglie. Sono certamente importanti ma non sufficienti perché qui sono in gioco questioni complesse e di profondo spessore dal punto di vista antropologico, spirituale, sociale culturale. Non sono pertanto immaginabili soluzioni immediate, a breve termine. Si tratta di processi lunghi. Bisognerebbe partire dall’educazione: dal ruolo dei genitori e dell’istruzione scolastica. Noi abbiamo assistito a un trend in base al quale l’educazione, in particolare quella scolastica, si concentra sempre più sulla trasmissione di competenze per poter affrontare il mondo del lavoro e poco sui valori che devono invece animare la vita individuale, di comunità, sociale, tra i quali anche quello di pensare alle generazioni future.
Si tratta quindi di un discorso culturale…
È assolutamente un discorso culturale e valoriale che tocca le corde più profonde dell’umanità e può essere affrontato solo con interventi di tipo culturale, valoriale e spirituale. Una strada lunga nella quale le forze vitali, che pure esistono nel paese, dovrebbero cercare un modo comune per intervenire: delle forme di alleanza per l’individuazione di contenuti. Si è parlato nel periodo più recente di una maggiore attenzione nella scuola all’educazione civica. Nello stilare i programmi di questa “nuova educazione civica” questi valori dovrebbero essere inseriti ai primi posti.
Chi dovrebbe scendere in campo?
I soggetti della società civile, i soggetti associativi, il mondo degli insegnanti e delle famiglie. Realtà che esistono e hanno le carte in regola per affrontare bene questi temi, ma occorrono un livello di collaborazione adeguato e un’azione più coraggiosa nei confronti della comunicazione e dei mass media.
Quale ruolo per la Chiesa?
La Chiesa già svolge un ruolo di grande rilievo perché è rimasta forse l’unico soggetto vitale ad insistere su questi valori portanti, ma dovrebbe individuare strategie più efficaci e adeguate ai tempi attuali, trovando forme di collaborazione con il mondo della scuola e dei mass media che facciano breccia rispetto a questa muraglia di valori che vanno in tutt’altra direzione.
GIOVANNA PASQUALIN TRAVERSA