Sì, questo è un uomo. Un uomo che ha lavorato nel fango, che ha lottato per un pezzo di pane, che ha vissuto all’inferno circondato da demoni di morte. Un uomo che ha lasciato il segno, un uomo che non si dimentica, un uomo con cui non ho legami di parentela se non quella della memoria e del cuore. Un uomo che ha scritto sul cuore di una adolescente senza neppure conoscerla. Lui parlava senza sapere che, tra mille altri e nascosta tra gli altri, un foglio bianco stava prendendo appunti di ogni parola.
Adolescenza. “La memoria può restituire, come il mare, dei brandelli e dei rottami magari a distanza di anni” questo ha detto Primo Levi a Pesaro il 5 maggio 1986. Io avevo 15 anni, quasi 16. Non dimenticherò mai. La memoria potrà restituirmi di lui dei brandelli oppure dei rottami, ma quando il nome di una persona e tutta la sua sofferenza si scrive sul cuore di un’altra, appena questi tornano davanti agli occhi o entrano nelle orecchie il cuore si trasforma in un torrente di sentimenti che non può fermarsi. Nel 1986 ero al teatro Rossini di Pesaro tra centinaia di ragazzi ad ascoltarlo mentre rispondeva alle nostre domande. Nel 2006 ero ad Auschwitz a respirare l’odore dei muri della camera a gas e a cercare di sentire sulla pelle, per quanto possibile, cosa potesse significare essere lì, immersi nell’incubo. In silenzio, ultima dopo tutti gli altri, per ascoltare in silenzio il silenzio. E in silenzio e con rispetto scrutare ogni macchia, ogni angolo, ogni buco nel muro, ogni pezzo di legno, ogni brandello e ogni rottame. Camminando in silenzio dove aveva camminato Primo Levi. Dove Massimiliano Kolbe aveva raccolto i cadaveri e dove Edith Stein era svanita nella cenere.
Testimone. Oggi, Primo, per il tuo compleanno ti rispondo ancora. Ho riflettuto come mi avevi chiesto e ho considerato se quegli uomini erano tali. Sì, voi eravate uomini. Miseri e poveri, nudi e mangiati, schiacciati e polverizzati dalla miseria e dal potere, dalla presunzione e dalla follia, dalla malignità e dall’oscurità di non-uomini che si erano presi il titolo dell’onnipotenza e volevano costruire sulle vostre ossa e sui vostri teschi una scala verso la perfezione e il trono dell’assoluto. Voi eravate persone, loro non so se hanno un nome e non so se esiste una parola che possa essere il loro nome.
Io non ho visto. Ma, cieca dell’orrore vissuto in prima persona, vedo più lucidamente attraverso i vostri occhi, attraverso le vostre parole e i vostri segni, i volti veri di molti uomini.
Caro Primo, il male non si è estinto, continua anche oggi ma vedo che, accanto al nulla dei non-umani simili a quelli che vi hanno mangiato, esistono persone luminose, madri e padri di speranza, che danno la forza di camminare e di trasformarsi in persone di pace e di vita, in persone veramente vere, fino in fondo. Persone che hanno scelto il bene con tutta la forza di una decisione adulta.
Grazie Primo per aver scritto, grazie per aver parlato, grazie per i tuoi occhi e gli occhi di quelli come te hanno visto e hanno raccontato. Grazie perché, come padri e madri giusti avete insegnato ed insegnate a guardare e a vedere. Al di fuori di ogni schema di tempo e di spazio ti auguro di cuore un felice compleanno.
SILVIA RENZI