Presso la Sala Rossa del Comune si è svolta la quinta Conversazione del Centro Studi Filosofici dell’Unilit sul tema della coscienza, tenuta dalla Prof.ssa Maria Rosa Tomasello con il titolo: “La coscienza e l’esperienza del dolore”. Coscienza e dolore sono in stretta relazione, e come l’una necessita per essere definita dell’apporto di varie discipline di natura filosofica, spirituale e scientifica, così l’altro apre ai più ampi significati e si configura in modi diversi, tanto da farlo definire dal mondo greco con i due termini di algos nella sua dimensione fisica e pathos, sofferenza psichica-spirituale. E come il termine coscienza indica un atto dell’anima in rapporto con se stessa e con il mondo che come dice Hegel necessita di passare attraverso il confronto dell’esperienza, così secondo il filosofo Natoli l’esperienza del dolore genera conoscenza, acuisce la percezione del mondo. In ogni individuale soffrire c’è un riverbero del dolore universale e la teoria dei neuroni specchio ci aiuta a capire che il nostro cervello è relazionato empaticamente con quello dell’altro in modo tale che la sofferenza svelando la nostra fragilità diventa volontà d’aiuto, come accade nell’esperienza del volontariato in luoghi come il carcere o nelle case di riposo. Il dolore implica una sospensione del tempo, rompe la struttura narrativa della vita, modifica persino il normale ritmo sonno-veglia, e per Heidegger come per lo scrittore e filosofo Ernst Jünger è un approssimarsi alla morte, che Nietzsche esorta a considerare come passaggio naturale e assunzione di consapevolezza. Il dolore rompe il senso e per ritrovarlo ha bisogno del linguaggio.
Nei sopravvissuti ai campi di sterminio dopo che è stata elaborata la coscienza del dolore la parola riemerge, chiede ascolto per lasciare spazio all’empatia e alla speranza. E’ il grido di Giobbe che approda al dialogo con un Dio misericordioso; è l’attesa dolorosa della adozione a figli annunciata da Paolo nella lettera ai Romani; è anche il dolore che Leopardi fa esprimere al pastore errante dell’Asia. Il dolore è in ogni caso generativo, la coscienza di esso lo rende sopportabile, ci muove alla ricerca, ci rende più profondi. Mentre nel mondo greco domina il senso della colpa e la pena è intesa come castigo, il mondo cristiano cogliendo nel dolore l’essenza dell’amore fino a giungere alle vette del perdono per chi lo infligge, apre alla speranza. Oggi le conquiste tecnologiche promettono il superamento del dolore, in una schizofrenia che da un lato lo nasconde allo sguardo e dall’altro lo spettacolarizza. Ne deriva una partecipazione priva di interiorità che non contribuisce a formare l’autocoscienza e ad aprire alla vita autentica. Mai come oggi il progresso tecnologico garantisce sicurezza e al tempo stesso vulnerabilità. Per concludere, “il dolore resta “ mistero”, chiede un cammino personale e sociale della coscienza che svela la fragilità e la forza dell’unicità della persona.”