Porta Palazzo è uno dei quartieri più periferici di Torino, non tanto per la distanza dal centro (solo pochi minuti da Piazza Castello) quanto per il suo isolamento sociale; gli italiani ad abitare in questa zona sono pochissimi e la povertà regna sovrana. Scordatevi l’eleganza sabauda quindi, immaginatevi invece un mercato confuso con pezzi di qualsiasi cosa venduti ad 1 euro.
Arsenale. È proprio in mezzo a questa realtà, e non sarebbe potuto essere altrimenti, che nasce una speranza chiamata Sermig. Un arsenale militare riconvertito ad “Arsenale della Pace”, uno spazio di circa 50 mila metri quadrati che accoglie tutti quelli che ne abbiano bisogno: senzatetto, vittime di abusi, bambini, prostitute. Il Sermig (Servizio Missionario Giovani) nasce dalla più grande delle utopie: quella di salvare il mondo. Sogno portato avanti inizialmente da Ernesto Olivero e da sua moglie Maria, poi condiviso con tanti amici e compagni di viaggio che, in seguito, si sono riuniti in una vera e propria fraternità. A inizio marzo, noi giovani di Azione Cattolica di Pesaro, accompagnati da Don Enrico Giorgini, siamo stati un po’ ospiti e un po’ volontari di questa realtà; abbiamo visitato le strutture, visto nel dettaglio cosa significa “accoglienza”, anche nelle situazioni più delicate, e abbiamo offerto il nostro servizio laddove fosse necessario.
Possibile. In alcune zone dell’arsenale si intravedono oggetti bellici, abbandonati e chiaramente fuori contesto, quasi a sottolineare ancora una volta che “la bontà è disarmante”, come recita la scritta sul muro nel cortile d’ingresso. In questo posto dove le armi marciscono, l’utopia di salvare il mondo con la Pace è sempre meno utopica. Il Sermig è un progetto di conversione, di certo non religiosa, perché convivono assieme musulmani, cristiani, buddisti. La conversione di cui è protagonista il Sermig è un’altra: quella dall’impossibile al possibile, dal difficile all’insieme, da arsenale della guerra ad “Arsenale della Pace”, nello sforzo di dare speranza ad un quartiere in cui la paura di non farcela è comune. Ed infine l’emozione di veder nascere dal letame, dei fragili fiori.