E’ iniziata con un breve ma intenso momento di adorazione eucaristica l’Assemblea diocesana dei catechisti, convocata come ogni anno dall’arcivescovo Piero Coccia. Il diacono Pino Mazzone, direttore dell’Ufficio, insieme ai suoi collaboratori, ha preparato l’incontro domenica 27 gennaio a Villa Borromeo, chiamando don Mario Florio a intervenire sul tema “Il catechista animatore e promotore di comunione”.
Gratitudine. Non è superfluo, ha premesso l’arcivescovo, rinnovare sempre la nostra gratitudine ai catechisti, veri pilastri della Chiesa, che incontrano tante difficoltà nel nostro tempo scristianizzato, dove spesso si trovano a svolgere non solo il compito, già gravoso, di accompagnare la famiglia, ma addirittura quello di sostituirla nel generare alla fede. Eppure introdurre i bambini, i ragazzi, gli adulti a conoscere ed amare sempre più il Signore è una delle avventure educative più belle e forse la migliore eredità che si possa lasciare. Ma come sostenere questo compito? Occorre, ha detto don Mario, ritornare alla sorgente del proprio servizio, cioè al proprio cuore, alle proprie esigenze affettive e intellettive, senza scandalizzarsi di nulla. E nello stesso tempo fare spazio alla novità che prorompe da Gesù risorto: andare al sepolcro dei propri limiti, insuccessi, difficoltà e vedere come Cristo sia capace di risorgere da lì. La fede nasce dalla verifica della resurrezione nella propria vita e nella propria persona trasformate. Quello che è in gioco non è il servizio di catechista, ma l’unità della persona.
Relazioni. E così accade anche nel passaggio dal proprio “cuore” agli “altri cuori”: la fatica che si vive nelle relazioni (con il parroco o con gli altri catechisti e collaboratori) e che sembra solo zavorra, in realtà è il lavoro che compie la resurrezione di Cristo per trovare spazio in mezzo a noi. Con questo sguardo si possono vivere tutte le esperienze che, come cerchi concentrici, aiutano il catechista ad allargare sempre più il suo cuore: lavorare in équipe con gli altri colleghi, intrecciare la propria azione con quella degli operatori della liturgia e della carità, ma anche con tutta la comunità parrocchiale e diocesana, fino ad aprirsi alla vita della Chiesa universale. Per un buon catechista – ha precisato l’arcivescovo – è certamente indispensabile curare la propria preparazione anche con percorsi strutturati, come quelli dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose o dei Corsi per Operatori Pastorali.
Conclusioni. Tuttavia la catechesi non deve avere un’impostazione dottrinale, ma esperienziale. Essa infatti, non è semplice comunicazione di una teoria religiosa, ma vuole mettere in moto un processo vitale di comunione con Dio, dove trova risposta definitiva l’interrogativo che accompagna tutta la vita: come posso essere pienamente umano? Come posso essere felice?