«Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d’arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile». (Adorno). La strage operata sui greci del Ponto nel secondo decennio del secolo scorso ha toccato profondamente una comunità fortemente identitaria per lingua e cultura, una comunità che, ancora vivissima in molte parti del mondo, conserva e tramanda le proprie tradizioni. Di fronte a un eccidio di tal portata le parole di Adorno conservano la forza di un canto funebre: quando accadono episodi di questa intensità è l’umanità intera che si interroga sul senso che continua ad avere la vita.
Popolo. Gjergj Kola ha interpretato con una pittura che oserei definire “negra”, per Goya e per la potenza del monocromo scuro, la sofferenza e il dolore. Kola è un artista estremamente fecondo, passa dal ritratto al paesaggio, dalla natura morta all’arte sacra, ma nessuna sua opera raggiunge l’efficacia comunicativa ed emotiva di quelle dove tratta la sofferenza umana: così sono i quadri dell’esilio, mentre quelli dedicati a Madre Teresa di Calcutta si illuminano di colori smaglianti perché qui sulla malattia si apre la speranza che nasce dalla misericordia. Fra pochi giorni, venerdì 27 aprile si inaugura a Salonicco una grande mostra del pittore albanese a cura di Konstantinos Fodiatis, autore del libro/catalogo La storia dei Ponti tramite le opere di Gjergj Kola; la mostra intende ricordare insieme il sacrificio di un intero popolo e un artista che ne ha saputo interpretare il senso. Nelle opere di Kola compaiono già quasi impastati con la terra i corpi delle vittime, raramente quelli degli aguzzini.
Ricoeur. Il filosofo Paul Ricoeur, che si è interrogato sulla sofferenza della persecuzione in “Ricordare dimenticare perdonare” del 1998, è giunto alla conclusione che soltanto il per-dono può restituire la forza di vivere che né l’oblio, né l’odio e la vendetta possono risuscitare. «Il passato può venir appesantito o alleggerito – diceva Ricoeur – a seconda che l’accusa imprigioni il colpevole nel sentimento doloroso dell’irreversibile, o che invece il perdono apra la prospettiva di una liberazione dalla colpa, il che equivale a una conversione del senso stesso dell’evento». Forse la pittura di Kola vuol essere un atto di riconciliazione dell’arte con la vita.