Si è svolta presso la Sala Rossa del Comune la terza Conversazione filosofica dell’Unilit, tenuta dalla Prof. Sandra Calegari con il titolo “Il futuro interrotto: riflessioni filosofiche sulla vecchiaia”. La riflessione filosofica ha inserito la vita dell’uomo all’interno dello sviluppo organico della Natura, di cui la vecchiaia rappresenta la fase culminante. La parola inglese old, vecchio, risale ad una radice indoeuropea che significa nutrire e in questo senso assume il significato simbolico di vita ricca, matura, capace di trattenere solo l’essenziale. Nella modernità la crescita demografica e l’incremento del numero degli anziani spinge a ripensare l’idea di longevità come inizio di un’altra modalità di vita. A società statiche in cui l’esistenza dei vecchi ha costituito un patrimonio indispensabile per la lenta costruzione dell’uomo si sostituiscono società dinamiche complesse in cui la velocità del cambiamento tecnologico, sociale, culturale può far nascere nelle persone anziane quel senso di estraneità e emarginazione che Norberto Bobbio chiama “malinconia”. D’altro lato secondo Carl Gustav Jung la seconda metà della vita porta a maggiore consapevolezza di sé e accettazione del limite e trova nella semplicità ed essenzialità dell’esperienza un rifugio dalla caducità. James Hillman, suo diretto continuatore, nel testo “La forza del carattere” identifica la vecchiaia con il compimento della nostra identità e unicità. “I vecchi dovrebbero essere esploratori”, raccomanda il poeta T.S.Eliot, avere il coraggio della curiosità.
Nella società fluida l’idea di vecchiaia sembra aver subito un processo di liquefazione. Quando si diventa vecchi? Oltre alla soglia burocratica del pensionamento e a quella biologica dell’insorgere delle fragilità c’è una soglia psicologica dove le categorie dominanti sono la funzionalità e l’estetica, che quando obbediscono alla logica di mercato e tentano di fermare il fluire del tempo affidandosi al bisturi o a parossistiche pratiche motorie allontanano da una vita vera e consapevole: la vecchiaia viene negata, sentiamo il nostro corpo sempre più estraneo e questa dissociazione riduce la capacità di essere nel mondo, senza contare che in una società del profitto gli individui non produttivi vengono rifiutati come inferiori. Il filosofo tedesco Max Scheler indica una serie di strategie di adattamento che rafforzino quei valori spirituali che danno alla vecchiaia un valore etico: se il senso dell’esistenza include la morte persiste però invariata l’unità della persona spirituale. Su questa linea un autore di ispirazione cattolica come Romano Guardini risolve gli inevitabili aspetti negativi della vecchiaia nella dimensione religiosa, nella percezione dell’eterno. E’ necessario vedere il versante positivo della vecchiaia come momento del raccolto, dello sguardo d’insieme, della libertà del proprio tempo e dello sforzo di sentirsi responsabili a livello personale, famigliare, sociale, esercitando la dimensione della pazienza e dell’ascolto, interagendo con le nuove generazioni, mettendo a frutto le competenze acquisite negli anni. Solo allora la vecchiaia può divenire, come scrive Jung nella sua autobiografia, “il frutto maturo di un’intera vita”, un vero esercizio di “cura di se stessi”.