L’attività del Centro Studi Filosofici dell’Unilit ha preso il via con la conversazione del Prof. Antonio Nanni tenuta presso la Sala Rossa del Comune dal titolo “Il pensiero tra complessità e semplificazione”. La complessità è la cifra del nostro tempo, caratterizzato da una crisi che mette in evidenza l’incapacità di abbracciare e governare la qualità e quantità dei problemi. Il suo contrario, la semplicità, richiama l’idea di fissità perché manca la dimensione temporale del cambiamento che è insita nella complessità, le cui parole chiave sono evoluzione, cambiamento, tempo. Il mondo che prima appariva semplice, confortevole nei suoi valori e prospettive, è soggetto a un irrevocabile stravolgimento tanto da permetterci una fuorviante nostalgia e un futile rimpianto del “passato”.
Progresso. In realtà se si guarda al miglioramento effettivo delle condizioni di vita e di salute, ai progressi delle cosiddette discipline forti, biologia, fisica, genetica, il discorso sulla complessità dev’essere tenuto fermo come una conquista. A partire dai padri della scienza moderna da Galilei a Newton fino alla fine dell’800 era maturata l’idea di un progresso lineare e si credeva che compito della scienza fosse aggiungere nuovi tasselli alla costruzione del mosaico del sapere. Ma si è visto che ciò non è vero, che l’onniscienza è tramontata e il processo conoscitivo necessita di nuovi metodi di apprendimento. I sistemi complessi, che si tratti di atomi o batteri, di persone o macchine sono aperti e la loro evoluzione discontinua. Va confermandosi la convinzione che la natura ha una sua storia e le sue leggi finora considerate eterne sono anch’esse soggette al cambiamento. D’altro lato rimane saldo il concetto che gli esseri viventi perseguono un progetto insito nella propria specie e regolato dal codice genetico che se per sua natura non varia, al tempo stesso è soggetto a microscopiche perturbazioni ascrivibili ad eventi casuali non comprensibili se non a posteriori.
Conoscenza. Qual è dunque il senso della vita umana e dell’universo stesso? Henri Bergson dà una risposta in cui si intrecciano riflessioni psicologiche e metafisiche che gli valsero il premio Nobel. Seguendo l’invito di Socrate a conoscere se stessi ci si rende conto che gli esseri umani vivono in una condizione di costante cambiamento, dal momento che nei nostri stati psichici confluisce la totalità del nostro passato, che continua a vivere in ogni istante della nostra vita. “Noi siamo ricchi di tempo”, di qui la creatività che ci permette di rielaborare il senso della nostra vita sperimentando così anche la nostra libertà. La continuità, la memoria, la durata costituiscono la stessa stoffa di cui è fatta l’intera natura. Se i sistemi vengono isolati per comodità di studio, c’è però un punto comune di partenza, uno slancio vitale che è all’origine di forme nuove come se nell’evoluzione organica vi fosse una coscienza. Se conoscessimo a priori i particolari di queste cause riusciremmo a spiegare la forma che ne è scaturita. Ciò si applica alla complessità del nostro tempo, con le disuguaglianze che permangono, il lavoro che cambia, le ondate migratorie e la loro gestione, tutti problemi che si pongono oggi con maggior forza perché lo scenario è cambiato, tanto da interessare l’intero pianeta. “Insomma, conclude il relatore, siamo ben lontani dallo Stato universale e dalla pace perpetua che auspicava Kant.”