Essere vicini, soprattutto in occasione del Natale, alle persone più fragili e umanamente più segnate, per annunciare che Dio ha un posto preferenziale per loro nel suo cuore: una preferenza dimostrata nel suo farsi piccolo e fragile come un bambino.
Periferie. E’ questo lo spirito con cui l’Arcivescovo Piero Coccia ha programmato, nelle settimane che precedono la solenne Festività, di celebrare l’eucarestia con i poveri, i malati, gli anziani, i carcerati e gli operatori che con loro si prodigano: gli ospiti e il personale medico-infermieristico della residenza protetta di Muraglia (sabato 16 dicembre); i volontari ospedalieri dell’A.V.O. (lunedì 18); le comunità del Ce.I.S. e della Caritas (mercoledì 20); gli anziani e gli assistenti di Casa Padre Damiani (sabato 23); i detenuti della Casa Circondariale di Villa Fastiggi (lunedì 25 dicembre).Il Natale – ha detto l’arcivescovo rivolgendosi agli ospiti delle varie strutture – accade ogni giorno, donando speranza e sostegno particolarmente quando la vita ci mette alla prova con malattie, amarezze, sconfitte, morte.Chi viene a trovarsi in tali condizioni ha bisogno certamente di essere curato con gli strumenti che la scienza mette a disposizione. Ma ciò non è sufficiente. Soprattutto la malattia grave mette sempre in crisi l’esistenza umana e porta con sé interrogativi che scavano in profondità. La prima reazione può essere a volte di ribellione. Ci si potrebbe sentire disperati, pensare che tutto è perduto, che niente ha senso.
Annuncio. In queste situazioni, la fede in Dio è, da una parte, messa alla prova, ma nello stesso tempo rivela tutta la sua potenzialità positiva. Non perché la fede faccia scomparire la malattia, il dolore, o le domande che ne derivano; ma perché offre una chiave con cui possiamo scoprire il senso più profondo di ciò che stiamo vivendo; una chiave che ci aiuta a vedere come la malattia possa essere la via per arrivare ad una più stretta vicinanza con Gesù, che ha voluto essere al nostro fianco, nascere, soffrire, assumere tutta la piccolezza e fragilità di noi uomini. L’Arcivescovo, nel salutare anche i familiari degli ospiti delle varie strutture, il personale e i dirigenti, li ha ringraziati per il lavoro che svolgono con tanta fatica e impegno e che per questo è particolarmente meritorio, soprattutto in questi tempi, dominati dalla cultura del piacere e di ciò che è perfetto, in cui si ritiene che ciò che è imperfetto debba essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati.
Solidarietà. Ma, come ricorda Papa Francesco, la felicità che ognuno desidera, anche se può esprimersi in tanti modi, può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare. E’ sempre una questione di amore, non c’è un’altra strada. Tante persone sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente perfette, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto.