Ascolto volentieri “Radio 24”, soprattutto perché non ci sono quelle sciocche canzonette americane il cui testo solo gli abitanti degli Usa riescono a comprendere. Tollero perfino le intemperanze verbali de “la zanzara”, anche se le parolacce usate senza criterio mi disturbano, ma l’intervista che ho sentito nei giorni scorsi mi ha sconcertato. Una giovane veterinaria sosteneva che l’eutanasia degli animali domestici gravemente ammalati (io la chiamo soppressione) può essere evitata se si provvede a sedare il dolore delle bestiole con appositi farmaci. Non voglio entrare nel merito, ma non ho mancato di riflettere sul fatto che quello che è valido per gli animali non lo è per l’uomo. Ma come? Il cagnolino giunto a fine vita non deve essere soppresso ed il nonno sì?
C’è qualcosa che non funziona in questo ragionamento. In natura non si è mai vista una volpe senescente; giunta ad una certa età non riesce più a cacciare e procurarsi il cibo ed il suo ciclo si è compiuto. La civiltà ha invece permesso all’uomo di prolungare la vita con i farmaci e le cure, quella stessa civiltà che lo condanna poi (quando lo riterrà opportuno) ad essere soppresso. La chiamiamo eutanasia ed il gioco è fatto. Come vedete è semplice, basta cambiare un nome e l’illecito diventa lecito. Se guardate una pubblicità di alimenti per animali vedrete due cani sul divano, assieme ai loro padroni, trattati come bambini. Bravi continuiamo così. E’ meglio avere una cane che un bambino.
Alvaro Coli