A seguito delle calamità che si sommano, come avviene oggi in Italia, succede abitualmente un accanimento mediatico. Ne ho avuto conferma in una trasmissione televisiva pomeridiana domenica 29 scorso, doveva essere una somma di testimonianze, si è tradotta in uno spettacolo assai discutibile. Nella fase immediatamente successiva alle catastrofi le decisioni sono favorite dal clima di forte emozione e di solidarietà che contagia l’opinione pubblica e le istituzioni. Comunque immancabili le polemiche che accompagnano e seguono l’operato in tali emergenze. La tragedia dell’hotel di Rigopiano poteva essere evitata? Ecco i messaggi che arrivano alla gente: “si poteva evitare; non si doveva costruire dove si erano già verificate valanghe (l’ultima nel 1936), almeno non si doveva svilupparlo in senso orizzontale; erano giunti dei segnali, si doveva sgomberare l’albergo; aprire le strade al traffico o chiuderle; infine, sono stati ritardati i soccorsi per eccesso di leggerezza e scarsa informazione”.
La Procura di Pescara prova a fermare il processo sommario che si sta celebrando attraverso i mezzi di comunicazione. Mi risulta fra l’altro che esiste un servizio specifico sul rischio valanghe, che manda i suoi bollettini a chi di dovere, il “Meteomont”. Avrebbe comunicato il rischio tre o quattro giorni prima del triste evento.Ci sono decine e decine di Passi e di centri abitati a rischio anche sulle Dolomiti (vedi i passi attorno al Gruppo Sella e centri come Alba, Canazei, Arabba) simili a Rigopiano.In oltre 30 anni di mia frequentazione in quei luoghi a scopo pastorale, mai sentito parlare di valanghe grazie ai “paravalanghe”.
Costano poco e funzionano perché le castigano sul nascere. Mi chiedo: perché chi di dovere non ne tiene conto? Un intervistato nella trasmissione di cui all’inizio, ha cercato di introdurle nel discorso. Glielo hanno malamente impedito. Accanimento mediatico! È brutto dirlo, ma è successo. Il Concilio, nell’ “Inter Mirifica”, definisce i media meravigliosi e tali restano senza ombra di dubbio. Hanno la capacità di rendere prossimo chi è lontano, coinvolgono alla solidarietà a 360°. Ma sono malati di protagonismo, di concorrenza spietata, di una apparente euforia di visibilità nel lavoro, da far ritenere una buona occasione perfino una disgrazia. Tutto questo a scapito della “pietà” che si inchina verso la sofferenza del più debole.In effetti, è la stessa comunicazione che ci rimette.
Raffaele Mazzoli