LETTERA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI PESARO
Ecco perché non voterò per un
registro del testamento biologico
Gentile Direttore,
il Consiglio Comunale di Pesaro discuterà prossimamente una “Mozione” per l’istituzione di un “Registro comunale di dichiarazioni anticipate di volontà per il trattamento sanitario” detto in modo semplificativo “testamento biologico”. Tale registro non ha alcun valore legale perché l’ordinamento dello Stato ancora oggi vieta ogni atto contrario alla cura e sopravvivenza del malato se non espressamente richiesto dallo stesso che può rifiutare terapie mediche che non condivide. Tale provvedimento in discussione prossimamente nel Consiglio Comunale di Pesaro fa parte di una strategia nazionale che intende sollecitare una legge sul “fine vita” passando per la richiesta di un registro di dichiarazioni sul trattamento sanitario a cui una persona intende essere sottoposto in caso di impossibilità di comunicare.
Io sono contrario a tale pronunciamento per tante ragioni che proverò in modo succinto a esporre.
Sono contrario perché credo che la volontà sia mutevole a seconda del momento e della realtà in cui si forma. Tante volte la volontà “immaginata e espressa in un contesto staccato dalla realtà” si modifica alla prova dei fatti. Una copiosissima letteratura medica e sociale ci riporta testimonianze di persone che non potendo esprimersi gridavano nel loro intimo di non procedere alla volontà espressa in precedenza. Si adduce a difesa di questa proposta che la persona in stato vegetativo non è in grado di sentire alcunché, nè di pensare, insomma è solo un corpo che vegeta. Io non credo sia sempre così e anche la scienza medica è divisa sul limite della “vigile coscienza”. In passato si definivano tante situazioni come irreversibili che oggi vengono trattate con nuovi protocolli. Tra l’altro si interrompono alimentazioni e terapie convinti dell’insensibilità del paziente e non possiamo dire con assoluta certezza se tali procedure non siano effettivamente dolorose per chi le subisce. Rischiamo di muoverci in modo approssimativo in un terreno che non possediamo completamente come diversi neurologi e esperti di fama mondiale ci dicono.
Sono contrario a questa proposta perché la battaglia a favore del “testamento biologico” apre in verità all’eutanasia come tanti degli stessi movimenti proponenti esprimono pubblicamente senza farne mistero nemmeno per pudore. Sono contrario all’eutanasia e a ogni intervento sulla vita, perché la ritengo un bene “non disponibile” all’uomo e perché credo che tale prospettiva sia lesiva dei diritti dei più fragili e deboli. Scriveva l’agnostico Immanuel Kant: “L’uomo non può disporre di sé stesso, poiché non è una cosa […] egli è una persona, il che differisce da una proprietà, perciò egli non è una cosa, di cui possa rivendicare il possesso, perché è impossibile essere assieme una cosa e una persona, facendo coincidere il proprietario con la proprietà. In base a ciò l’uomo non può disporre di sé stesso”.
I cosiddetti diritti indisponibili, realizzano pienamente l’umanità come i diritti della persona come il diritto alla libertà personale e il diritto di libera manifestazione del proprio pensiero. I diritti indisponibili (o anche intrasmissibili o non disponibili) sono quei diritti soggettivi che non possono essere trasmessi dal titolare a un altro soggetto e si possono estinguere con la morte del titolare. Inoltre il titolare non può rinunciarci. Tra l’altro a mio parere, introducendo il concetto del valore della vita e della disponibilità della stessa si possono aprire scenari pericolosi che potrebbero attivare meccanismi di selezione della specie umana. Quanti malati gravi, terminali, o persone cerebrolese verrebbero considerate in questo contesto come “pezzi venuti male”, o considerati solo come costi? Già mi immagino l’opinione pubblica sentenziare: “meglio destinare le risorse sempre più scarse per coloro che realmente ne hanno bisogno!”
La vita è un bene indisponibile o non lo è!
Sono convinto altresì che lo Stato dovrebbe preoccuparsi di favorire politiche di sostegno alle famiglie che hanno nel loro nucleo persone in stato di minima coscienza e dovrebbe investire risorse per la terapia del dolore atta a migliorare la qualità della vita dei soggetti in cura altrimenti l’obiettivo in sé benigno e lecito dell’eliminazione del dolore, causato da una malattia terminale , viene perseguito eliminando non la sofferenza, ma il sofferente. In altre parole, si rimuove il dolore eliminando anzitempo il malato.
Tutte le ricerche fatte in questo campo ci dicono che i pazienti che vogliono farla finita con la propria vita sono indotti a tale scelta dal contesto di sofferenza personale e di disagio dei propri familiari. La depressione del momento, unita al dolore fisico e alla preoccupazione per i propri familiari inducono tante persone verso tale richiesta. Il superamento di questi ostacoli porterebbero ad altra volontà nella quasi totalità dei casi.
Questo deve fare uno Stato che ha a cuore il destino del proprio popolo invece che percorrere scorciatoie vantaggiose quanto pericolose per il concetto stesso di umanità.
Non voterò quindi questa mozione che è stata presentata per uno dei prossimi Consigli Comunali, pur sapendo che sono tanti i gruppi politici che la sosterranno e che la voteranno, per non assecondare un disegno che ritengo pericoloso quanto ingiusto e fuorviato da un concetto utilitaristico della vita che non corrisponde alla mia visione di vita.
Luca Bartolucci – Presidente del Consiglio Comunale di Pesaro
__________ _________________ ____________________
Gentile Presidente Bartolucci, la ringraziamo per la lettera chiara ed appassionata che ci ha indirizzato. Come lei giustamente ricorda, la mozione, che probabilmente andrà ai voti il prossimo 25 gennaio, nasce dall’associazione radicale “Coscioni” che da anni sta chiedendo una legge favorevole all’eutanasia. La proposta quindi non ha nulla a che fare con Pesaro ma transita da un’assemblea votata e pagata dai pesaresi per occuparsi di ben altre faccende. Fu addirittura la stessa Mina Welby, dell’associazione “Coscioni”, a scriverci una lettera quasi un anno fa, palesando così i veri promotori della richiesta (vedi Il Nuovo Amico n. 11 del 22/3/2015)
Sul versante opposto ben venti grandi associazioni (queste sì di Pesaro) nei mesi scorsi hanno chiesto ai politici locali di ascoltare le ragionevoli perplessità di chi ogni giorno opera nel mondo della disabilità.
La città è rimasta del tutto indifferente rispetto al testamento biologico, anche perché la cellula “Coscioni” di Pesaro ha organizzato volutamente incontri riservati a pochi eletti, con il preciso scopo di catechizzare i politici pesaresi a votare qualsiasi cosa risultasse utile alla causa dell’eutanasia. Tattica che pare aver dato buoni frutti, anche se nell’assise pesarese esistono alcuni importanti distinguo, proprio come il suo. Anzi, è addirittura probabile che la sola maggioranza non riesca ad avere i voti sufficienti per approvare la mozione. Ma in questo caso potrebbero arrivare soccorsi da alcuni pezzi di minoranza già debitamente catechizzati (vedi sopra).
Alla fine, come lei giustamente sottolinea, anche qualora passasse, questa “mozione” non avrebbe alcun effetto giuridico. E allora ci si potrebbe domandare: perché scaldarsi tanto? La risposta la dà lei, caro Bartolucci, in chiusura di lettera. Si tratta di una mozione “fuorviata da un concetto utilitaristico della vita”. In altre parole è un altro passo verso la cultura dello scarto.
In questi giorni ha telefonato in redazione Lucrezia Tresoldi, mamma di Max, il ragazzo di Carugate di Milano (ormai pesarese d’adozione) uscito dal coma dopo 10 anni di silenzio. «Era Natale 2000 quando mio figlio si è risvegliato – ha detto – e per questo Natale ha telefonato agli amici per fargli gli auguri con la sua voce. Max prima dell’incidente avrebbe firmato un testamento biologico ma poi ha cambiato idea. Vi prego ricordate ai pesaresi questi fatti perché si occupino piuttosto del sostegno alle famiglie di chi vive la fragilità».
Il Direttore