URBINO – Già nei due anni scorsi ci siamo occupati, in vista della solennità di San Crescentino patrono della nostra città e dell’arcidiocesi, di alcuni aspetti che legano la devozione verso il soldato romano e l’arte. Quest’anno proviamo a riscoprire altri dipinti o raffigurazioni: in città esistono infatti tanti luoghi quasi sempre chiusi al pubblico che custodiscono un’icona del Santo; altri sono ben visibili, ma non ci facciamo caso, altre ancora sono “emigrate” lontano. Partendo dalle opere che si conservano nel complesso del duomo, la più antica e preziosa è quella miniata su un antifonario del 1348, opera di Niccolò Saraceno da Bagnacavallo. Un piccolo riquadro denso di significato: affianca canti e lodi al martire patrono e condensa in pochi centimetri la figura del soldato a cavallo che infilza con l’asta il drago esanime ai suoi piedi, ispirato da Dio e col mantello svolazzante quasi a somigliare a delle ali. Insomma un insieme di San Giorgio e San Michele, certamente più famosi di lui nell’immaginario dell’epoca e fulgidi esempi a cui paragonare il pur insigne ma meno noto patrono urbinate. Peraltro questa iconografia, che ha tenuto banco fino almeno al ‘700, si rifà a sua volta al più antico bassorilievo di Pieve de’ Saddi (PG), primo luogo di sepoltura del martire. Sullo stesso modello sono lo stemma in legno della sacrestia nuova, quello nello stendardo processionale della Basilica Cattedrale e un quadro nello scalone dell’episcopio, mentre pian piano con i secoli San Crescentino scende da cavallo, lo sguardo al Cielo ma la lancia sempre sul drago (bronzo dell’altare). Il passaggio ulteriore si ha quando il Santo offre il drago già morto (= paganesimo sconfitto) a Dio, e lo vediamo nella statua in cartapesta del Rondelli, quella in pietra sulla scalinata esterna, la tela d’altare dell’Unterbergher e quella precedente del Cialdieri visibile nel museo, così come lo stendardo che si suole appendere dall’episcopio. Unico esempio di quadro moderno, in cui il soldato rifulge della luce divina con Urbino sullo sfondo, è quello tra le due guerre che si conserva nella cappella del palazzo vescovile. Altre chiese però serbano memorie del Santo: in S. Francesco di Paola vediamo in fondo alla parete destra una sua statua in gesso, a S. Bartolo una parte dell’altare postconciliare lo raffigura colorato su ceramica e all’oratorio della Visitazione è dipinto su un arazzo. Queste ultime due effigi, di concezione assai moderna, possono considerarsi temporalmente le ultime icone commissionate col Santo. Anche l’oratorio di S. Croce conservava un dipinto di Timoteo Viti con il martire che teneva il vessillo cittadino in mano, ma dopo il passaggio di Napoleone oggi è a Brera. Alla casa di Raffaello una grande tela lo presenta insolitamente a cavallo, nel pieno della battaglia con la bestia, mentre è colto nell’atto dell’uccisione nel bronzetto sulla colonna dell’omonimo largo di via Veneto. Concludiamo la rassegna, che raccoglie solo parzialmente le immagini del Santo e che potrebbe essere lo spunto per un’inedita mostra tematica, col palazzo ducale, dove al secondo piano, oltre all’originale della precedente statuetta, sono esposte una mattonella e un piatto di ceramica molto simili per impostazione, in cui il drago, sull’uscio della caverna (elemento tipico di S. Giorgio), attende il cavaliere per la resa dei conti. Al primo piano invece in un quadro sempre del Viti i Santi Martino e Tommaso Becket siedono venerati dal vescovo Arrivabene e dal duca Guidubaldo. Nel medaglione del piviale di Tommaso c’è proprio un Santo a cavallo: ennesimo omaggio al nostro Crescentino.
Giovanni Volponi