IL PROGETTO IN COLLABORAZIONE CON L’UNIVERSITA’ DI URBINO
«Translate» richiedenti asilo
creano una app linguistica
«Transalte». È questo il nome scelto per una applicazione di traduzione linguistica. Digitando una parola nella app e scuotendo il telefonino si ottiene immediatamente la traduzione vocale. Sembra un gioco ed in effetti le affinità ludiche sono parecchie, ma la particolarità di questa innovazione è che si tratta di un progetto creato e realizzato da sei giovani richiedenti asilo in collaborazione con l’Università di Urbino, cofinanziato dalla società cooperativa bolognese Lai-momo e dal protocollo tutto marchigiano Eureka che vede in sinergia Università, Regione ed Imprese del nostro territorio. L’esperimento avviato lo scorso 26 novembre, si è concluso in questi giorni con ottimi risultati anche e soprattutto, sul fronte dell’accoglienza. Ne abbiamo parlato con il prof. Alessandro Bogliolo, docente dell’Università di Urbino e portavoce dell’Italia per la programmazione informatica nell’ambito della Eu Code Week e con Caterina Soldati dottoranda in Scienze della complessità.
Prof. Bogliolo come nasce questo progetto così particolare?
È nato tutto abbastanza casualmente. A Urbino abbiamo un dottorato di ricerca interdisciplinare che si occupa proprio di richiedenti asilo. Sentendo Caterina Soldati relazionare in merito ai suoi studi le ho voluto proporre di insegnare a programmare ai richiedenti asilo.
Perché?
Anzitutto per dare a queste persone la possibilità di impiegare proficuamente il proprio tempo ed ottenere competenze e opportunità in campo lavorativo. Inoltre mi occupo in ambito europeo di promuovere la programmazione del pensiero computazionale.
In altre parole?
Si tratta di insegnare informatica sfruttando un modo intuitivo e non mediato da altre lingue. Come qualcosa di innato che possa essere appreso come si fa con una lingua madre. Questa esperienza era interessante anche perché il gruppo dei richiedenti asilo non parlavano nessuna lingua comune. Tutti idiomi diversi tra loro. Una sfida di fronte all’insormontabile barriera linguistica.
Quanto tempo è stato necessario per arrivare in fondo?
C’è voluto relativamente poco tempo proprio perché il metodo che ho usato si basa sulla programmazione visuale cioè non parte dallo studio di un linguaggio di programmazione ma consente, come fosse un gioco, di dare istruzioni ed acquisire competenze base della programmazione.
In concreto come avete lavorato?
Ci siamo mossi facendo tre passi. Anzitutto abbiamo utilizzato le risorse di code.org, ovvero l’ora del codice cioè il primo approccio visuale alla programmazione. Il secondo passo è stato utilizzare scratch che è uno strumento on line per programmare piccoli videogiochi e infine abbiamo usato app inventor, sempre uno strumento on line basato sulla programmazione visuale ma che consente di creare vere e proprie applicazioni per android.
Perché lezioni a distanza?
Perché il meccanismo si basa sull’imitazione. Io ero da solo a distanza mentre coi ragazzi c’erano dei facilitatori. Volevamo capire se questa idea poteva diventare replicabile come fenomeno di massa anche per tanti altri richiedenti asilo in qualunque parte del mondo.
Prospettive per il futuro?
L’applicazione in sé è un piccolo seme ma il vero elemento di novità è che a personalizzarla e a svilupparla sono state persone richiedenti asilo senza conoscere le lingue e senza una precisa istruzione informatica. Fondamentale poi è stato il lavoro della dottoressa Soldati.
Dottoressa Sodati com’è stato lavorare a questo progetto?
Umanamente si è trattato di un’esperienza meravigliosa. Ho visto questi ragazzi lasciarsi coinvolgere con grande voglia di mettersi in gioco. Moltissimi di loro sono persone qualificate ed è giusto dare loro delle possibilità anche perché possono essere anche una risorsa per il nostro Paese. Inoltre l’ambiente universitario di Urbino è fantastico e si riesce a collaborare proficuamente con i vari dipartimenti interdisciplinari. E poi il prof. Bogliolo è un’entusiasta ed è capace di coinvolgere ciascuno.
Come è strutturato il gruppo di richiedenti asilo?
Inizialmente il gruppo era composto da sei persone, poi abbiamo proseguito in quattro ed attualmente sono rimasti in due poiché altri due sono stati trasferiti nel nord Italia dal progetto di protezione dei rifugiati (Sprar). Oggi c’è Mazen siriano, laureato in Business and administration alla Damascus University di Damasco e Omid, iraniano, che ha studiato Architettura presso la Islamic Azad University, ma stiamo cercando fondi per poter inserire nuovi richiedenti asilo.
Con quale ulteriore obiettivo?
Realizzare la app voleva essere una prova per verificare ciò che eravamo riusciti ad apprendere. Ora l’obiettivo è incrementare la applicazione informatica lavorando con dei programmatori per trasformarla in uno strumento utile anche per l’apprendimento della lingua italiana.
A cura di Roberto Mazzoli