“Donne e violenza – le parole non bastano più”. Un titolo che è un programma per l’oggi a conferma che il contrasto al fenomeno non può essere affidato a una pura affermazione di principio. Appare statisticamente radicato in culture diverse e in società diverse, dalle primitive alle più evolute. Alcuni dati essenziali per capire come vanno le cose in Italia. Nel 2013 sono state 130 le donne uccise dal partner o da un familiare, (124 nell’anno precedente), un milione finito nella rete dei soprusi maschili che si ripetono sino a giungere all’incredibile, 4 milioni di atti, dallo schiaffo allo stupro. Una donna su tre, dai 16 ai 70 anni, è stata fatta oggetto durante la sua vita di aggressioni maschili, nella maggior parte dei casi le violenze non vengono denunciate (93%) e la maggior parte delle donne trascorre l’esistenza senza parlarne.
Così le statistiche attestano che si tratta di una contingenza socialmente devastante: produce infatti più inabilità del cancro e degli incidenti stradali. Recentemente nel rapporto “Quanto costa il silenzio” è stata presentata una indagine nazionale “sui costi economici e sociali della violenza contro le donne” (disponibile in www.intervista.it) allo scopo di mettere al centro dell’attenzione pubblica del nostro Paese l’esigenza di affrontare con estremo rigore questo annoso problema. È la giustizia umana, civile e sociale che lo pretende. Individuarne il costo sociale è tanto necessario e fondamentale quanto difficile, quasi impossibile a decifrarlo.
Ciò la dice lunga sulla dimensione del fenomeno e sul sommerso che si muove intorno. Chi ha tentato di farne una stima monetaria è stato l’ISTAT. Anche se gli episodi di violenza vengono perpetrati generalmente in ambito privato, gli effetti si riversano direttamente nella sfera sociale. A ciò si aggiungano i costi indiretti riguardanti prevenzione, risarcimento, rieducazione per un totale ISTAT di 14 mld di Euro. Ci si chiede ancora una volta quanto costa il silenzio. Ciò nonostante la donna è ben lontano dall’essere tutelata e protetta. Dalla dichiarazione dell’ONU del 1993, solo vent’anni dopo (2013) il nostro Paese ha approvato una nuova legge. Il costo umano, non calcolabile né risarcibile, non ha prezzo. Non bastano la legge, le parole e la conversione politica del problema. Così pure la dichiarazione dei principi anche se questi consentono la ricomposizione della coscienza morale di cui non si può fare assolutamente senza. Sarebbe come togliere dal campo l’erbaccia e lasciare intatte le radici. Ci vuole un “nuovo umanesimo” che non sia indifferente al “senso religioso” che ogni creatura umana si porta dentro. Come sempre i valori ideali che rinnovano la storia vengono dall’Alto. Dal cuore e dall’Alto dunque oppure tutto rimarrà come prima.
Raffaele Mazzoli